I silenzi di Di Maio e Salvini

Annunci in pompa magna e balconate per i temi cari al proprio partito, bocche cucite su quelli che riguardano gli alleati di governo

I silenzi di Di Maio e Salvini

C'è una linea che accomuna Di Maio e Salvini: è quella del silenzio. Annunci in pompa magna e balconate per i temi cari al proprio partito, bocche cucite su quelli che riguardano gli alleati di governo. I vicepremier viaggiano come due rette parallele. Per questo non stupisce che sul reddito di cittadinanza all'interno del Carroccio sia stato impartito l'ordine non svegliare il can che dorme. Non solo perché fino a ieri i leghisti mettevano in guardia dalla misura pentastellata, ma soprattutto perché potrebbere "mordere". E dunque meglio non metterci il cappello, anzi meglio prendere nettamente le distanze, sia mai che l'alto rischio di fallimento possa contagiarli.

Nel marzo scorso Borghi avvertiva: "Così come l'hanno proposto non funziona, perché è destinato a tutti, magari anche a chi non ne ha bisogno, perché gode comunque di una ricchezza". Quelle poche volte in cui Salvini ha espresso la propria opinione è stato molto guardingo: "Se il reddito di cittadinanza è pagare gente per stare a casa dico di no, se è uno strumento per reintrodurre nel mondo del lavoro chi ne è uscito, allora sì". Tra l'altro, fu lo stesso leghista a mettersi di traverso nel 2015 quando l'allora governatore della Lombardia Roberto Maroni propose un reddito di cittadinanza a sostegno delle fasce più colpite dalla crisi bollandolo come "elemosina di Stato" e motivando così: "In linea di principio sono contrario a questo tipo di provvedimenti. Non voglio mettere becco nelle libere scelte della Regione Lombardia, ma con i soldi pubblici preferirei abbassare le tasse e far ripartire il lavoro piuttosto che mantenere la disoccupazione".

Un anno dopo Salvini rincarava poi la dose: "Preferirei aiutare i 600mila negozi sfitti che pagano l'Imu, preferirei abbattere l'Imu sui capannoni o sulle botteghe degli artigiani piuttosto che spendere 700 euro per parcheggiare una persona a casa". Nel marzo dell'anno scorso affilava ancora le armi: "L'assistenzialismo, soprattutto al Sud ha fatto troppo disastri. Il reddito di cittadinanza che propongono i M5s è una bufala. Il disoccupato italiano che ha 10.000 euro sul conto in banca e un monolocale sarà costretto a garantire un reddito di immigrazione a chi è qui da poco tempo ed è sulla carta nullatenente. Più che un reddito di cittadinanza è un reddito di clandestinità".

Cambia il vicepremier ma il comportamento è lo stesso. Avete infatti sentito Di Maio commentare il dl Immigrazione? Raro. E sulla Flat Tax, cavallo di battaglia leghista? Qui è successo per certi versi quello che è successo a Salvini con il reddito di cittadinanza. Il M5s è arrivato a silenziare anni di improperi ed ettolitri di inchiostro. Il primo marzo scorso il candidato al ministero del Tesoro del M5S, Andrea Roventini, sentenziava senza appello: "La Flat tax è una fake tax, è una proposta bizzarra che produrrà un deficit pubblico crescente e porterà benefici solo al 10% della popolazione". Due mesi prima, invece, era stato lo stesso Di Maio in persona a dire la sua: "La Flat tax per me è incostituzionale perché elimina la progressività". Pensiero ribadito poi nel febbraio scorso ospite del salotto di Barbara D'Urso: "Se vogliamo parlare con tutti di abbassamento delle tasse l'hanno tutti nel programma, ma bisogna capire come fare".

Per argomentare meglio il suo diniego, il leader pentastellato poi ha condiviso su Facebook un lungo articolo pubblicato sul blog del M5s che affermava che "la flat tax è una bufala", che "scassa i conti dello Stato", che "le coperture sono a dir poco campate in aria" e che "massacra ancora il welfare per favorire i ricchi". Insomma, la vera chiave del governo gialloverde adesso si basa sul silenzio.

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