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I "soldatini di piombo" con l'obbligo della fedeltà

Il «settore comunicazione» sforna portavoce e portaborse a iosa, ma il popolo non li sceglie

I "soldatini di piombo" con l'obbligo della fedeltà

Roma - C'è una frase che circola negli ambienti parlamentari del Movimento Cinque Stelle e l'adagio recita così: «Quando scegliamo il nostro esercito, i soldati devono essere fedeli». La considerazione è attribuita alla senatrice Paola Nugnes, vicinissima a Roberto Fico. Non sappiamo se lei sia d'accordo con l'attuale gestione del potere pentastellato, ma il dettato, di certo, è stato applicato alla lettera. Il Movimento che fu della trasparenza e del merito premia la fedeltà e la militanza non meno dei partiti tradizionali.

Prendiamo il caso più noto, quello di Rocco Casalino. L'uomo, catapultato grazie al formidabile ascensore sociale del grillismo, dalla casa del Grande Fratello alla stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, nel ruolo di portavoce del presidente del Consiglio. Rocco, dopo l'esperienza televisiva e qualche stentata collaborazione giornalistica, approda alla corte dei grillini su consiglio di Emilio Fede. In poco tempo, scala lo scalabile. Dall'ufficio comunicazione del Senato fino al ruolo di arbitro insindacabile delle apparizioni televisive delle star del Movimento. Ascoltato e riverito da giornalisti e parlamentari, è finito a coordinare la comunicazione del premier Conte. Memorabile lo strattonamento, al G7 in Canada, perpetrato ai danni del povero presidente del Consiglio durante un punto stampa. Di recente, Casalino ha fatto parlare di sé per l'intimidazione rivolta al giornalista del Foglio Salvatore Merlo: «Ora che Il Foglio chiude cosa fai?» ha detto il portavoce, salvo poi nascondere la mano: «È stata solo una battuta».

A controllare l'ignaro Conte a Palazzo Chigi c'è anche Pietro Dettori. Di origini sarde, ha fatto carriera da Milano, puntando sulla fedeltà incondizionata a Davide Casaleggio. Un'ascesa consumatasi tutta nelle segrete stanze di via Morone, sede della Casaleggio Associati, per arrivare all'appartamento romano dove ha messo nero su bianco il primo discorso del primo premier grillino, forte dell'esperienza maturata come scrittore occulto di molti dei post sul Blog di Beppe Grillo. Proprio la comunicazione si sta dimostrando la vera gallina dalle uova d'oro per parecchi pentastellati.

Osservando le nomine negli staff dei ministri saltano all'occhio in particolare due nomi, già noti alle cronache politiche. Si tratta di Andrea Cottone e Augusto Rubei. Cottone, portavoce del Guardasigilli Alfonso Bonafede, siciliano come lui, è stato componente dello staff alla Camera. Il giornalista, a maggio dell'anno scorso, è stato protagonista di una spy story in salsa sicula. Ex socio dell'associazione antiracket Addiopizzo, era stato registrato durante una riunione con alcuni parlamentari, mentre parlava di giri loschi di parcelle e rimborsi per spese legali. Con gli imprenditori spinti a denunciare la mafia che finivano sempre per essere difesi da Ugo Forello, grillino candidato sindaco di Palermo nel 2017. Cottone, si legge sul sito del ministero della Giustizia, guadagnerà 120mila euro all'anno. Rubei, romano del quartiere difficile di S. Basilio, prima consulente del M5s alla Camera, poi stratega della campagna elettorale di Virginia Raggi, mancò la nomina a portavoce del Campidoglio perché sgradito a Casalino. Ora è il portavoce di Elisabetta Trenta alla Difesa.

Così come non sono stati scelti dalla piattaforma i personaggi che hanno occupato i dicasteri del governo gialloverde. Infine c'è la carica dei portaborse che hanno fatto il salto, diventando deputati e senatori. L'attuale viceministro dell'Economia Laura Castelli ha un passato da assistente dell'ex consigliere regionale piemontese M5s Davide Bono. E nella legislatura del «cambiamento» c'è un vero e proprio boom di portaborse eletti.

Tutti soldati fedeli.

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