Cosa ci si mette per festeggiare il rinato Stato democratico della Repubblica del Libro? La pochette? Gli anfibi? La Resistenza non è una cena di gala. La sindaca Appendino tailleur giacca-pantalone nero, molto chic, il governatore Chiamparino spezzato e cravatta che vira al rouge, Nicola Lagioia, il Direttore del risorto Salone del Libro di Torino, rifondato su solite basi antifasciste, neanche fosse il 25 aprile dell'editoria italiana, una semplice T-shirt stropicciata, come la faccia: la notte del Gran Consiglio è stata dura. «Ma ora fuori splende il sole», esordisce Lagioia, aprendo i discorsi ufficiali per l'inaugurazione della più turbolenta edizione del Salone dell'era sovranista, e il pubblico della Sala Oro, dentro l'Oval - il recuperato spazio espositivo del Lingotto - accenna un timido applauso liberatorio. Le lunghe ore delle decisioni irrevocabili sono passate. Espulso l'editore vicino a CasaPound e soffocati i rigurgiti neofascisti, Giustizia e libertà sono fatte. La democrazia è salva. L'abbiamo scampata bella. Mentre l'Italia è stretta fra crisi di governo, recessione economica, tensioni multietniche, rischiavamo di non accorgercene. La cultura, come la politica, è un circolo vizioso. E così tutto ritorna dove ogni cosa è iniziata: ore 9,30 del mattino, il corteo delle autorità (ministro Bonisoli in testa) comincia per rispetto istituzionale dal padiglione della Difesa. Accanto a quello che doveva essere lo stand delle edizioni Altaforte, smontato nella notte prima ancora di essere finito. Della tentazione fascista non c'è più traccia.
Nel piazzale d'ingresso, intanto, Francesco Polacchi, l'editore «allontanato» dal consesso democratico, solitario, affronta un pugno di cronisti e improvvisa una conferenza stampa in diretta Facebook: annuncia che presenterà comunque il libro incriminato con l'intervista a Matteo Salvini, ovviamente non dentro il Lingotto. Sarà sabato alle 12, ma il luogo rimane riservato. Invece l'autrice, Chiara Giannini, ha già dato mandato ai suoi avvocati per diffidare il Salone e procedere con causa civile per danno d'immagine. La democrazia costa. A proposito di cause. Se Altaforte dovesse vincere la sua contro il Salone, come è molto probabile, cosa succederà? Se la legge gli darà ragione, l'anno prossimo bisognerà inventarsi qualcosa per tenere fuori gli editori sgraditi. Qualcuno, nel codazzo del corteo, tra i vertici del Salone, parla chissà di un Codice etico. Qualcun altro rabbrividisce.
Veloce giro per i padiglioni con tappa reverenziale davanti a ciò che resta dell'Einaudi azionista torinese e poi cerimonia d'apertura. Parla il ministro Bonisoli (che della vicenda alla fine se ne è lavato le mani: «Se questa è la scelta di Torino, mi fido: sarà la cosa giusta»), poi Nicola Lagioia, che come tutti gli altri sembra essersi liberato di un peso, ma tradisce un certo nervosismo (poi in giornata dirà che la svolta politica si è resa necessaria). E subito dopo, a sorpresa, per riparare lo scampato sfregio fascista, la novantenne sopravvissuta ad Auschwitz Halina Birenbaum: ringrazia per la decisione coraggiosa che le ha permesso di essere qui, racconta la sua storia di testimone vivente della Shoah, e la Sala Oro si alza in piedi. L'applauso è lunghissimo. Breve il resto della cerimonia. Sia Appendino sia Chiamparino saltano il giro dei discorsi (hanno già parlato nella notte: sono loro ad avere chiesto e ottenuto l'allontanamento di Altaforte). Nessuno cita esplicitamente il fatto del giorno: è tutto un alludere, un accennare. Rimane il presidente del Circolo dei Lettori, che di fatto organizza il Salone, Giulio Biino: parla di una scelta di campo che ha evitato uno sfregio a Torino, al Paese «e forse all'umanità» - per dire i toni esagitati con cui si sta affrontando la questione e dice che da notaio «prendere una decisione che forza la norma» è stato difficile e faticoso. Ci crediamo.
Intanto scorrendo i dati di Amazon puoi scoprire che il libro censurato di Altaforte è top seller del giorno, e forse lo sarà della settimana. Da una (tragica) intuizione di Christian Raimo ecco il caso di marketing involontario più gigantesco della storia mondiale del libro. E poi, adesso che l'Uomo nero è stato allontanato (e il guaio è che finirà col passar per martire), l'intellighenzia antifascista di fanatismo e di battaglia le Murgia&Co., gli antagonisti già pronti a cantare Bella ciao nei corridoi del Salone, le anime belle che volevano scaricare centinaia di copie di Primo Levi davanti allo stand incriminato - contro chi leverà alto i suoi scudi?
Alla fine, restano - da una parte - le liste di proscrizione, che hanno chiamato in correo editori e intellettuali del tutto incolpevoli (come Francesco Giubilei, al massimo un conservatore: «È stato bello stamattina vedere gente che veniva nel nostro stand ad acquistare libri per solidarietà. Paura? Purtroppo abbiamo ricevuto minacce di morte.
Cosa dice ora chi ha alimentato questo insopportabile clima d'odio?») e dall'altra - fuori dal Lingotto, i miliziani di Potere al popolo che distribuiscono volantini «Contro l'antifascismo di comodo di Chiamparino e Appendino». Per loro sono stati troppo morbidi, ambigui e tardivi. Com'è la storia che c'è sempre un puro più puro di te?La giornata, in qualche modo è andata. Il Salone è aperto. Si aprono i libri, si aprono le menti. Speriamo.
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