La parola «complotto» nel Pd stanno attenti a non pronunciarla. È Pierferdinando Casini a dire quello che in molti in casa renziana pensano: «In una democrazia come la nostra non è in alcun modo accettabile l'organizzazione di un vero e proprio complotto per sporcare l'immagine del presidente del Consiglio».
Un complotto che, a sentire numerose le analisi che si fanno nel Pd, avrebbe avuto qualche aiuto anche dall'interno da parte di ambienti politico-istituzionali interessati ad indebolire il ruolo dell'ex premier.
Quale sia lo scolpo del «complotto» è chiaro: far fuori Matteo Renzi dalla scena politica italiana. Chi ne siano i complici è altrettanto chiaro: i media che, a cominciare dal solerte Fatto Quotidiano beneficiato in esclusiva dello «scoop», hanno cavalcato una vicenda improbabile, fatta di pizzini estratti dalla spazzatura e intercettazioni falsificate; le forze politiche (M5s in primis) che la hanno strumentalizzata. Resta da capire chi dell'operazione partita dal Noe e dalla Procura di Napoli sia stato lo sponsor.
In casa Pd più di uno cita alcuni strani comprimari della vicenda. Ad esempio quel commercialista napoletano che, ai primi di marzo, spunta fuori a raccontare (via Repubblica) di sapere che Tiziano Renzi e Alfredo Romeo avevano cenato insieme di nascosto in una «bettola». Circostanza poi smentita, ma che ebbe grande risonanza. Il personaggio in questione si chiama Alfredo Mazzei, è stato a lungo attivo nell'area migliorista del Pci, ha fatto parte del board della Fondazione ItalianiEuropei di Massimo D'Alema, noto nemico politico di Renzi, ed è vicepresidente della Fondazione Mezzogiorno di Giorgio Napolitano, i cui rapporti con l'ex premier si sono da tempo incrinati (tanto che Napolitano viene indicato come uno degli sponsor della discesa in campo di Andrea Orlando contro Renzi). Il ruolo da «testimone volontario» di Mazzei, trait d'union in politica tra D'Alema e Napolitano, è stato più volte sottolineato da esponenti Pd: Matteo Orfini, in un'intervista di marzo, definì «curioso» il fatto che «una personalità che ha avuto l'onore di rivestire ruoli importanti nella fondazione Mezzogiorno avesse una tale consuetudine e familiarità con Romeo». Per altro, si fa notare, una manina dalemiana già era venuta fuori in un altro tentativo di complotto, poi miseramente fallito, ai danni di Renzi, quello che lo accusava - come ebbe a dire D'Alema - di essere «finanziato dal Mossad».
In casa renziana si attendono ulteriori sviluppi della vicenda all'esame della Procura di Roma. «Vedrete, la storia non finisce qui», ripetono nel Giglio Magico. C'è la ragionevole certezza che alle falsificazioni alla base dell'inchiesta napoletana che sono già venute fuori se ne aggiungeranno presto altre: «Vi ricordate la storia dell'incontro tra Tiziano Renzi e un misterioso Mister X, passata con tanto di foto dagli inquirenti Consip ai giornali come indizio davvero singolare di loschi maneggi intorno a Consip?», dice un esponente Pd. «Poi venne fuori che era solo un incontro di lavoro con un gestore postale, che confermò».
Il problema, si fa notare, è che Renzi senior non solo era «pedinato come un camorrista», ma era anche intercettato: «Impossibile dunque che gli inquirenti non sapessero con chi aveva preso appuntamento». Un ennesimo «falso» che, nel Pd ne sono certi, non tarderà a venir fuori. E darà un'ulteriore mazzata al «complotto» Consip.
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