Mondo

I sovranisti fermano il recovery. Veto Ue di Polonia e Ungheria

Bloccato il bilancio europeo: ritorsione per il vincolo posto da Bruxelles sul rispetto dello Stato di Diritto

I sovranisti fermano il recovery. Veto Ue di Polonia e Ungheria

A volte, Christine Lagarde non è proprio fortunata. Tipo ieri. Proprio mentre la presidente della Bce, in apertura del summit Pionieri del Cambiamento, sottolineava come «il Recovery Fund dimostri che l'Europa è tornata», quella stessa Europa mandava in scena il vecchio teatrino rancoroso fatto di veti, ancor più foriero di guai in tempi come questi.

Ungheria e Polonia sono passate dalle minacce ai fatti: con un no secco, come atto di ritorsione contro l'approvazione della regola che lega l'erogazione degli aiuti comunitari al rispetto dello Stato di diritto, hanno bloccato il bilancio dell'Ue, per la cui approvazione è necessaria l'unanimità. Tutto fermo. Congelato. A cominciare da quei 750 miliardi di euro destinati al Next Generation Eu, la fetta maggiore dei circa 1.100 miliardi che costituiscono (o, meglio, che dovrebbero rappresentare) la dotazione finanziaria di Bruxelles per i prossimi sette anni.

Così, se già prima non pochi sollevavano dubbi sull'effettiva disponibilità di una prima parte delle risorse anti-Covid a partire dall'estate 2021, ora il pericolo è quello di uno slittamento sine die.

Per l'Italia, che contava di incamerare dal Recovery una cifra complessiva pari a 209 miliardi, di cui oltre 81 miliardi sotto forma di sussidi, si tratta di un rinvio potenzialmente fatale. Tutti i conti fatti finora sulla gestione del periodo post-pandemia, peraltro già oggetto di critiche per l'insufficienza dell'ammontare, rischierebbero infatti saltare. Ma, ancor prima, se i mercati cominciassero davvero a percepire come insanabile la frattura maturata ieri fra i Paesi del Vecchio continente, le tensioni non tarderebbero a venire a galla e si scaricherebbero sugli spread. In particolare nel caso la Bce non aumentasse in dicembre la propria potenza di fuoco contro il coronavirus, o scegliesse di agganciare le nuove risorse all'accettazione del Mes.

Di fatto, l'Europa si è infilata in un cul de sac. Causato non solo da meccanismi fin troppo garantisti, ma anche dall'incapacità della presidenza tedesca di convincere l'asse Budapest-Varsavia a fare un passo indietro. Non sarà facile trovare scappatoie. Quali sono, del resto, le alternative? Non piegarsi al ricatto dei sovranisti significa rinunciare all'intera impalcatura eretta per sorreggere non solo la futura ripresa, ma quella rivoluzione epocale, fatta di investimenti green e sul digitale, più volte evocata dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Ma altrettanto doloroso sarebbe chinare la testa, consentendo ai due Stati di mantenere comportamenti ritenuti poco democratici. In entrambi i casi, il banco perde.

Per ora, è partito il classico rimpallo di accuse. «Lo stato di diritto - ha twittato il presidente del gruppo del Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber - non riguarda un Paese in particolare, né riguarda l'Est o l'Ovest. È neutro e si applica a tutti. Se si rispetta lo Stato di diritto non c'è nulla da temere. Negare all'intera Europa i finanziamenti per la crisi nella peggiore crisi da decenni è irresponsabile». Un capo d'imputazione respinto da Zoltan Kovacs, portavoce del governo ungherese: «Non siamo stati noi a cambiare la nostra posizione. L'onere della responsabilità ricade su coloro che hanno dato origine a questa situazione nonostante la posizione ben articolata dell'Ungheria».

Un primo assaggio di quale piega prenderà la situazione lo si potrà avere dopodomani, quando i leader Ue si vedranno in una videoconferenza che in origine doveva essere dedicata alla seconda ondata della pandemia.

In ogni caso, Madame Lagarde ha senz'altro ragione: «C'è ancora molto lavoro da fare».

Commenti