Da Forza Italia a Di Maio: ecco il fronte trasversale che chiede a Mario di restare

I timori del voto frenano il possibile trasloco sul Colle. Ecco perché anche la sinistra adesso vuole che il governo prosegua

Da Forza Italia a Di Maio: ecco il fronte trasversale che chiede a Mario di restare

È sempre il candidato più «prestigioso» in campo. Con Berlusconi, Mario Draghi divide il podio dei «papabili» per occupare le stanze che Mattarella lascerà libere al Quirinale a partire da febbraio. Eppure sono in tanti a volerlo tenere a Palazzo Chigi, dove lavora di concerto con un'ampia maggioranza per quel governo di «unità nazionale cui è affidato il compito di traghettarci fuori dall'emergenza sanitaria ed economica. Anche il diretto interessato inizia a nutrire più di un dubbio sulla fattibilità della sua «promozione» al Colle. I tatticismi del Pd, i malumori della base grillina, le ondivaghe dichiarazioni di Salvini fanno pensare che nel segreto dell'urna potrebbero essere tanti i «grandi elettori» che si scoprono anche «franchi tiratori».

E proprio per sgombrare il campo da tutti questi tatticismi, che l'opinione pubblica avrebbe grande difficoltà a interpretare e capire, Antonio Tajani ieri ha parlato di ritorno alle urne. Con il passaggio di Draghi al Quirinale, spiega il coordinatore nazionale di Forza Italia, non ci sarebbe altra strada praticabile. Ed è infatti lo spettro del voto che fa più paura. Ed è così che, con il passare del tempo, va assottigliandosi il partito che vuole l'ex capo della Bce al Quirinale. Giuseppe Conte, per esempio, non ha dubbi al riguardo. «Meglio smetterla di tirare Draghi per la giacchetta - dice il capo del Movimento Cinquestelle -. Lasciamolo lavorare. C'è ancora il piano di resilienza, il contesto europeo in movimento e le vecchie politiche dell'austerity da superare». Il ministro degli Esteri Di Maio teme soprattutto la figuraccia. Teme cioè che, in occasione del voto per il Quirinale, emerga la totale incontrollabilità dei gruppi parlamentari grillini. La gran parte, infatti, non vuole lasciare lo scranno parlamentare sapendo bene che non ci sarà un nuovo mandato. Ed ecco quindi venir meno la candidatura di Draghi al Quirinale.

È tornato sui suoi passi («prima si vota e meglio è») anche Matteo Salvini. Pur non avendo gli stessi problemi di Letta e Conte nel controllare i gruppi parlamentari, ha pubblicamente condiviso il parere di Berlusconi («Draghi resti a Palazzo Chigi fino a fine legislatura»). «Sta lavorando bene da presidente del Consiglio - spiega il leader del Carroccio - e quindi mi auguro che vada avanti a lungo». Mentre la Meloni continua a chiedere un candidato unitario del centrodestra, pur continuando a considerare lo scioglimento anzitempo delle Camere come il male minore.

A stanare i dem dal loro rifugio («Non è ancora tempo di parlarne», ripeteva come un mantra Letta) ci ha pensato Giancarlo Giorgetti. Il numero due della Lega ha infatti avanzato una proposta a dir poco audace: una sorta di «semipresidenzialismo» di fatto con il quale affidare a Draghi il Quirinale e la supervisione di Palazzo Chigi (lasciata in gestione al ministro Daniele Franco o alla Guardasigilli Marta Cartabia). Al Nazareno hanno subito alzato la voce: invocando un intervento del segretario. Ed è così che alla festa del Foglio Enrico Letta non ha potuto far altro che confessare che il voto anticipato non è auspicabile: «Una maggioranza così larga, poi, è l'occasione più unica che rara per mettere mano alle riforme istituzionali». Questa difesa di Draghi a Palazzo Chigi, poi si traduce anche nella affannosa ricerca di un candidato valido da contrapporre a Berlusconi, visto il no di Mattarella per un bis. D'altronde il «contesto di salvezza nazionale» non si esaurisce qui.

«Questo governo - sintetizza la ministra Mara Carfagna - è nato per fronteggiare la pandemia e ricostruire l'economia. I passi avanti vanno consolidati nel 2022». Che poi è più o meno lo stesso ragionamento che fanno pure Matteo Renzi e Carlo Calenda.

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