Forse è la foga redistributiva della maggioranza giallo rossa che produce tasse più o meno micro. Oppure - è una delle interpretazioni che circolano nei palazzi romani - i tecnici della Ragioneria generale ogni tanto infilano nel testo della manovra una copertura che sfugge al controllo politico del ministro Roberto Gualtieri.
Un caso di scuola è quello degli immobili. Le pressioni di Italia Viva hanno fatto sì che fosse cancellato dalle bozze della legge di Bilancio un aumento dell'aliquota che si applica agli affitti agevolati.
L'intenzione era portarla dal 10 al 12,5%. Misura impopolare e poco popolare, visto che colpisce le famiglie in cerca di canoni di affitto sotto i valori di mercato. La soddisfazione di inquilini e proprietari per il ritiro e la conferma della tassazione agevolata per la cedolare secca «sociale» è durata poco. Dopo un attento esame dell'articolato del ddl di bilancio, Confedilizia ha scovato altri balzelli.
Prima la mancata conferma della cedolare secca per i negozi che introdotta con l'ultima legge di Bilancio. Fortemente voluta dalla Lega di Matteo Salvini, chiesta a gran voce da Confedilizia ma anche da Confcommercio. Un aliquota al 21% per i soli contratti stipulati nel 2019 per gli immobili in classe C1 fino a 600 metri quadri. Con la mancata riconferma gli affitti commerciali, in crisi nera, saranno tassati come redditi ordinari.
Non è una bella notizia nemmeno l'accorpamento di Imu e Tasi, se realizzato senza abbattere l'imposizione complessiva (al contrario la manovra stabilizza le maxi aliquote in vigore in alcune città).
Ieri un'altra novità spuntata (forse non a caso) dopo la soluzione al nodo cedolare. «La manovra prevede l'aumento, dal 20 al 26 per cento, dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze immobiliari per vendite entro 5 anni dall'acquisto», ha denunciato il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa. Un altra stangatina, di dubbia utilità. «Visto l'andamento dei prezzi degli immobili, difficile prevedere un gran gettito...».
La prossima norma candidata al ritiro è la stangata (questa volta poco micro) sulle auto aziendali. Spuntata nella bozza della manovra di mercoledì, prevede che le autovetture concesse ai dipendenti vadano calcolate interamente come reddito. L'ex viceministro all'Economia Enrico Zanetti, il primo ad accorgersi della novità, ha calcolato che ci sarà un aggravio da 2.143 euro all'anno per un dipendente con auto aziendale e un reddito tra 28 mila e 55 mila euro.
Ora è partita la corsa ad annunciare modifiche. Nella maggioranza si sono fatti sentire Iv, ma anche il Pd e M5S. Il viceministro allo Sviluppo economico Stefano Buffagni ha chiesto di «migliorare immediatamente» la norma. Il sottosegretario all'Economia Alessio Villarosa ha assicurato che le tasse sulle auto aziendali valgono «solo per determinate aziende e solo dopo un certo numero di auto». Nel testo non è così, ha replicato Zanetti. Ma tutto fa pensare che il governo stia cercando un modo per tornare indietro. Questa volta è più difficile. La misura vale ben 500 milioni di euro. Per reperire mezzo miliardo servono tasse macro.
Non
basterà sicuramente la lotteria degli scontrini, incentivo a non evadere. Ieri l'Agenzia delle entrate ha stabilito le istruzioni per partecipare. Ci sarà un codice lotteria che il cliente dovrà comunicare al commerciante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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