I turchi (smentiti): "Presa Ras al-Ain". Bombe sulle carceri: jihadisti liberi

I curdi: "Stiamo resistendo", ma le forze di Ankara avanzano Proiettili di artiglieria vicino a un avamposto Usa a Kobane

I turchi (smentiti): "Presa Ras al-Ain". Bombe sulle carceri: jihadisti liberi

Beirut - L'offensiva turca contro i combattenti curdi nel Nord-Est della Siria continua, sempre più inesorabile, nonostante le pressioni di Stati Uniti ed Europa. Ieri i ribelli siriani appoggiati da Ankara sono entrati a Ras al-Ain, uno dei due principali obiettivi della prima fase, assieme a Tall Abyad, che invece resiste ancora. La Turchia sostiene che il centro della città è stato preso. Le forze guidate dai curdi negano. «Al termine delle operazioni coronate con successo nell'ambito dell'offensiva Fonte di pace, la città di Ras al-Ain situata a Est dell'Eufrate è passata sotto il nostro controllo», ha ribadito il ministero della Difesa di Ankara. Le milizie curde hanno subito smentito: «Ras al-Ain sta ancora resistendo e i combattimenti sono in corso. Ma la situazione è sempre più difficile, perché dalla Turchia arrivano continui rinforzi».

Le forze turche e alleate sono arrivate sull'autostrada M-4 che collega le città siriane di Manbij e Qamishli, 30km dal confine, ma poi sono state respinte dopo due ore, ma hanno ucciso 6 civili. Fra loro un'importante leader curdo-siriana, Hevrin Khalaf. Ieri è stato intercettato anche un convoglio di 20 veicoli blindati che trasportavano ribelli siriani alleati dei turchi, al posto di frontiera di Ceylanpinar. Molti combattenti sono in odore di jihadismo, hanno fatto il segno della vittoria con le dita, e gridato «Allah akbar», sventolando bandiere ribelli siriane mentre avanzavano verso Ras al-Ain. L'esercito turco ha dichiarato che 14 villaggi siriani sono stati liberati dai «terroristi» nella sua offensiva.

Altri terroristi, dell'Isis, invece festeggiano. Ieri è stata colpita da un'autobomba una prigione dove sono detenuti centinaia di miliziani ad Hasake. L'obiettivo era farli uscire. La guerra non risparmia nessuno. Nella tarda serata di venerdì proiettili di artiglieria sono caduti poche centinaia di metri da un avamposto americano vicino a Kobane, dove le truppe Usa sono ancora di stanza. Nessun militare è stato ferito. «Le forze statunitensi non si sono ritirate da Kobane», ha subito precisato il capitano Brook DeWalt, portavoce del Pentagono, mentre il generale Mark Milley ha avvertito che avrebbe intrapreso un'azione difensiva, se necessario. «Tutti sono consapevoli che siamo le forze armate statunitensi e conserviamo il diritto all'autodifesa». Il ministero della Difesa turco ha negato di aver colpito la base e ha spiegato che un posto di frontiera nel Sud della Turchia era finito sotto i colpi di mortaio e di mitragliatrici pesanti dalle colline a circa 1.000 metri dalla base americana. I militari hanno reagito per autodifesa, senza la volontà di nuocere alle forze statunitensi.

Secondo la Turchia 73 combattenti del gruppo Ypg sono stati «neutralizzati» ieri, tre suoi soldati sono stati uccisi, mentre altri tre sono rimasti feriti. In totale sono 399 i combattenti Ypg «neutralizzati» dall'inizio dell'operazione. I curdi hanno contestato il numero, dicendo che soltanto 29 dei loro combattenti erano morti. Ma ora la posizione americana è più accorta nei confronti di Ankara.

Già venerdì il segretario al Tesoro Steven Mnuchin aveva anticipato che Trump ha autorizzato nuove sanzioni. Ma è arrivata subito la risposta di Ankara: «Stiamo combattendo contro organizzazioni terroristiche che creano una minaccia alla sicurezza nazionale».

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