I venti di guerra gelano i listini. E l'Europa brucia 390 miliardi

Piazza Affari perde il 4%. E Wall Street sconta già la riunione di domani della Fed: verso la stretta sui tassi

I venti di guerra gelano i listini. E l'Europa brucia 390 miliardi

L'inflazione rampante non è più la preoccupazione principale di Joe Biden. Più che sui confini domestici, alla Casa Bianca tocca tener l'occhio verso Oriente: fino a che punto l'America intende esporsi per proteggere l'Ucraina? Anche se finora si tratta di una partita a scacchi, con lo spostamento delle pedine sullo scacchiere militare, la crisi con la Russia non sembra promettere nulla di buono. I venti di guerra, per quanto ancora flebili, sono infatti stati percepiti con tutta forza ieri dai mercati in un lunedì da tempesta perfetta, in cui le tensioni geopolitiche del triangolo Kiev-Washington-Mosca sono andate a saldarsi ai timori legati alle decisioni di domani della Federal Reserve. Il risultato? Tutti giù per terra, in una giornata nera in cui non si è salvato neppure il mondo delle criptovalute, il cui valore è sceso di 130 miliardi di dollari. Gli indici azionari si sono accartocciati sotto il peso delle vendite, in un tremore collettivo che ha travolto la Borsa russa, crollata fino al 6,8%, e messo in ginocchio anche i listini europei che in poche ore hanno bruciato 390 miliardi (-3,6% lo Stoxx600). Travolta anche Piazza Affari (un secco -4%), in una giornata tutto sommato tranquilla per lo spread fra il Btp e il Bund tedesco (a 144 punti, solo tre in più rispetto a venerdì scorso). È la conferma che, almeno per ora, la corsa per il Quirinale viene vista con occhi abbastanza neutri dai mercati, la cui opzione preferita resta quella di un Mattarella bis.

Dopo i tonfi della scorsa settimana, Wall Street non si è concessa ieri neppure il classico rimbalzo da gatto morto: se il Dow Jones accusava una perdita secca di 1.000 punti a un'ora dalla chiusura (-3%), in seguito all'ultimo calo (-4,5%) il Nasdaq ha perso il 18% dall'ultima seduta record di novembre e si è avvicinato pericolosamente alla soglia del -20% che indica un mercato «orso», inclinato al ribasso. Una «liposuzione» violenta che dà la misura del fuggi-fuggi dalle azioni tecnologiche, quelle che più di tutte avevano beneficiato della politica ultra-accomodante della Fed. Ancora poche ore, e la banca centrale guidata da Jerome Powell dettaglierà il nuovo corso imperniato sul rialzo dei tassi. Con l'avvicinarsi della riunione-clou dell'anno, il nervosismo degli investitori è ben espresso dal Vix, il cosiddetto «indice della paura», risalito dopo un anno fin sopra quota 38. Si teme, come prospettato da Morgan Stanley, che l'istituto di Washington calchi decisamente la mano nel 2022 decidendo, a partire da marzo, più delle quattro strette da un quarto di punto finora ipotizzate e azzerando entro luglio i 9mila miliardi di asset in bilancio. Misure draconiane che sarebbero giustificate dal balzo al 7% in dicembre dei prezzi al consumo, il livello più elevato degli ultimi 40 anni che a Biden sta costando una consistente perdita di consensi a nove mesi dal voto di mid-term.

Per provare ad aggredire alla gola il carovita, la Fed avrebbe però bisogno di riportare il costo del denaro dallo zero attuale almeno al 3-4% entro la fine di dicembre, confidando nel fatto che si risolvano i nodi nella catena degli approvvigionamenti e non peggiori la spirale prezzi-salari.

Una missione impossibile, se non al prezzo di assistere a una carneficina sui mercati finanziari che finirebbe per impattare anche sull'economia reale. Se poi il braccio di ferro fra Usa e Russia dovesse degenerare, le conseguenze su scala globale sarebbero incalcolabili.

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