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I veri (pre)potenti di sinistra pronti a querelare i giornali

Il caso "Unità" è sotto i riflettori, scatta il soccorso rosso di "Repubblica" contro "l'attacco dei potenti". Ma quando sono De Benedetti, Ingroia, D'Alema o "gli amici" a fare causa nessuno si scandalizza

I veri (pre)potenti di sinistra pronti a querelare i giornali

Quanti sono i potenti pronti a rovinare un giornalista facendogli causa? Tutti, proprio tutti. Anche nel caso, particolarmente grave, che debba pagare di tasca sua i danni, perché l'editore è fallito o si è dato alla macchia.

Oggi si parla molto di quei potenti che mettono nei guai ex direttori come Concita De Gregorio e redattori de L'Unità , c'è una grande mobilitazione di politici, sindacato e colleghi. Solidarietà assolutamente giusta. Ma la storia del giornalismo è affollata di vicende così e non sempre la reazione è la stessa.

Lo rivendica in una lettera a Dagospia Emiliano Liuzzi: « Io, modestamente, ho lo stipendio pignorato per lo stesso motivo di Concita. Non mi hanno pignorato la casa perché non la posseggo e perché al Corriere di Livorno - giornale che finì esattamente come L'Unità senza avere quel popò di storia - eravamo terrorizzati dalle cause. Attualmente sto pagando 15.000 euro (una sciocchezza rispetto a Concita, ma io non sono biondo, ancora modestamente), devo rimborsare l'Inpgi e pagare un altro paio di avvocati che mi hanno difeso d'ufficio. Nella stessa condizione mia, 15 colleghi che lì hanno lavorato».

La stranezza è che alcune volte ci si scandalizza e altre no. Che non tutti i potenti si mettono sullo stesso piano. Che certe querele, sulla stessa stampa, si «cavalcano» e altre si insabbiano. Anche a seconda delle simpatie politiche e della convenienza del momento.

Nella triste vicenda de L'Unità viene attaccato «un bel gruppetto di potenti, da Berlusconi ai generali dei servizi segreti», come scrive La Repubblica , che presentano il conto ai giornalisti indifesi. Ma altri dalla querela facile, sempre ricchi e potenti, da Carlo De Benedetti a Massimo D'Alema, da Antonio Di Pietro ad Antonio Ingroia, sembra che difendano legittimamente il loro onore e la loro immagine, quando chiedono soldi per un articolo andato di traverso. E questo, anche se non c'è l'editore a coprire le spalle di direttori e redattori. Esattamente come fanno per L'Unità Renato Soru e il Pd, che controllava il quotidiano, ma ora si chiama fuori. I casi non mancano, soprattutto quelli in cui vengono presi di mira giornalisti allo sbaraglio, senza copertura. Ma allora, spesso non c'è nessuna mobilitazione.

Chiedere i danni, magari appigliandosi ad un titolo troppo strillato o ad un'inesattezza in un pezzo che dice il vero, è uno sport diffuso tra manager e magistrati, politici e star. La querela per diffamazione è un modo per sentirsi potenti, dire: «Lei non sa chi sono io». E intimidire la stampa. Parliamo, certo, di chi forza la mano, senza vere ragioni. Querelare è facile, per un potente. Come minacciare.

Una delle più recenti performance l'ha offerta l'ex premier Massimo D'Alema, quando la stampa ha osato accostare il suo amato vino ad un'inchiesta di mazzette. I mese scorso, dopo lo scandalo che a Ischia ha portato in galera amministratori Pd e di coop rosse, sono venuti fuori acquisti presso l'azienda vinicola di famiglia e lui è esploso per la domanda scomoda di un giornalista del programma Rai Virus . «Io la querelo, non sarebbe il primo oggi. Mi dia il suo nome, le arriverà una denuncia». Poi ha ribadito che la sua era una strategia tappeto: «Siccome sto denunciando diversi giornali, denuncerò anche lei, dice cose sciocche».

Da querele e perquisizioni, poi, alcuni giornalisti vengono difesi a spada tratta dai colleghi, altri ignorati o anche bacchettati senza pietà. Ricordate Marco Travaglio come si è scagliato contro l'ex amica Milena Gabanelli, per il servizio di Report sulle case di Di Pietro, che le ha fruttato una querela? Le ha dato una lezione: «Può capitare a tutti di sbagliare e quando accade non resta che precisare, rettificare e scusarsi. È il caso del servizio di Report , tendenzioso e poco preciso, su Di Pietro».

Onore ai potenti, in quel caso.

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