Politica

I voti sterili che non producono risultati

Per un leader e per i dirigenti di un partito, i voti sono un fine o sono un mezzo

I voti sterili che non producono risultati

Gira che ti rigira, sempre lì si torna: per un leader e per i dirigenti di un partito, i voti sono un fine o sono un mezzo? Il buonsenso vorrebbe che i voti fossero non un fine in sé, ma un mezzo per realizzare idee e programmi precisi. Ma quest' interpretazione si scontra con alcune incognite. Ad esempio, i leader politici hanno delle idee? Intendo dire delle idee radicate, ovvero dei principi.

Dei punti fermi. Degli obiettivi qualificanti e imprescindibili. Diceva Francesco Cossiga che, come e più dell'uomo comune, l'uomo politico tende a convincersi intimamente di quel che gli conviene nel momento dato. Sì che col cambiare dei momenti, cioè delle fasi politiche, cambiano anche le idee, i principi e i punti fermi del leader. C'è del vero, purtroppo. E la scienza politica tende a confermarlo. All'inizio del secolo scorso, lo studioso Robert Michels formulò la teoria della «sostituzione dei fini». Detta in sintesi, significa questo: i partiti nascono per realizzare obiettivi particolari e crescono per tutelare il proprio potere indipendentemente dagli obiettivi per cui sono nati. Piaccia o meno, è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. Ed è bene saperlo. Non per accettarla, ma per contrastarla con quel realismo che rappresenta il presupposto di ogni efficacia politica. Lo scrivo pensando a ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma che molti faticano a vedere. Ciò che sta accadendo nei due partiti più inclini alla demagogia dell'attuale scena politica, due partiti non a caso alleati all'inizio della legislatura: il Movimento 5 stelle e la Lega. Ebbene, a maggior ragione dopo la conclusione di quella straordinaria prova di capacità politica rappresentata dall'elezione del presidente della Repubblica, non c'è dirigente leghista di militanza salviniana che, messo alle strette a quattrocchi, non ammetta i clamorosi limiti della leadership di Matteo Salvini e la stessa, identica cosa accade con i dirigenti grillini di dichiarata fede contiana rispetto alle reali capacità di Giuseppe Conte.

Eppure, la consapevolezza del velleitarismo dei rispettivi leader non li spinge a cambiar cavallo, perché quei leader più di altri vengono ritenuti capaci di incassare voti garantendo di conseguenza il perpetuarsi di un'ampia classe dirigente. Ma si tratta di voti sterili, perché destinati a non produrre risultati politici. Voti intesi come un fine anziché come un mezzo. Accade anche tra i ranghi di Fratelli d'Italia, partito che per ammassare consensi sembra condannarsi voluttuosamente all'opposizione a vita. Un meccanismo perverso. Utile, forse, nel breve periodo, per consolidare qualche carriera personale, certamente inutile per realizzare quel che si ritiene sia l'interesse generale.

*senatore di Forza Italia.

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