Cultura e Spettacoli

Ibra accusato di razzismo immaginario

Sui social appelli a escluderlo da Sanremo. Ma nella lite nel derby la pelle non conta

Ibra accusato di razzismo immaginario

Ogni incendio ha la sua scintilla. Quello del derby di coppa Italia si propaga all'improvviso e senza nessun preavviso. Accade tutto sul finire del primo tempo, 1 a 0 per il Milan, gol di Ibra a metà frazione, l'Inter attacca a testa bassa. Lukaku riceve una spallata da Romagnoli: l'arbitro Valeri fischia il fallo. L'interista non si accontenta e parte verso Romagnoli, frenato da Kessiè, dai suoi e dal connazionale Saelemaekers, respinto con una manata. A quel punto Ibra, lontano dall'azione, rientra e comincia a guardare verso Lukaku con un sorriso strafottente. «Chiama tua mamma, vai a fare i tuoi riti voodoo di m, piccolo asino», gli manda a dire.

Spiegazione didascalica per tutti: la definizione «piccolo asino» è riferita al fatto che ai tempi in cui erano compagni al Manchester United Ibra prese in giro Lukaku promettendogli 50 sterline per ogni stop fatto bene. Inoltre il riferimento ai riti voodoo è legato a un episodio, il mancato trasferimento al Chelsea, suggerito al belga dalla mamma dopo un rito voodoo, divulgato dal presidente dell'Everton.

Lukaku, già col sangue agli occhi, non ci vede più. Prova ad avvicinarsi minaccioso e si rivolge a Ibra: «Vuoi parlare di mia madre? Perché? Fottiti tu e tua madre. Parliamo della tua di madre, quella». Allora interviene l'arbitro Valeri, che cerca di sedarli. «Vai a parlare con lui» protesta il belga. Ibra ha sempre la stessa smorfia: «Ti aspetto dopo». Cartellini gialli per entrambi e a fatica riprende la partita con il duello rusticano che prosegue negli spogliatoi quando Lukaku - secondo fonti non smentite - si lascia scappare: «Ti sparo in testa». Qui finisce l'incendio e comincia il cinema.

Nel senso che, scambiando una vocale per un'altra del loro inglese, la definizione di asino diventa monkey, ovvero scimmia, e parte la corsa a chi la spara più grossa. Ovunque. In tv, davanti ai microfoni di mamma Rai, sui social, nei dibattiti delle tv regionali. Accuse di razzismo che per Ibra, nato nel ghetto di Malmoe da famiglia bosniaca e sottoposto da ragazzo al trattamento più crudele perché considerato e chiamato «zingaro», è come dare del guerrafondaio a Ghandi. Nemmeno gli interventi di Conte e Barella a fine competizione con l'Inter qualificata per le due semifinali, e il Milan rimasto in 10 per il doppio giallo di Ibra e quindi rimontato in pieno recupero, sono serviti a ricacciare indietro l'odore sgradevole di caccia allo stregone.

Sui social lo spettacolo è, se possibile, persino peggiore. Si sono esibiti tutti, anche giornalisti che si occupano di politica e politici di professione che, indossata la casacca di parte, hanno cominciato a richiedere la punizione esemplare per Ibra. Nessun cenno alla replica «ti sparo in testa», derubricata a invito a una partita di caccia. Non poteva mancare poi il Codacons con codazzo di sepolcri imbiancati, pronti a chiedere al festival di Sanremo di cancellare l'esibizione di Ibra che - detto tra parentesi - farebbe felici i tifosi del Milan.

Forse anche per questo e non solo, Ibrahimovic ha chiuso il cerchio con un post che recita testualmente: «Nel mondi Zlatan il razzismo non esiste, siamo tutti uguali», subito seguito dal messaggio di Paul Pogba, suo ex compagno e seguito dallo stesso procuratore Mino Raiola: «Non scherziamo, è l'ultima persona a poter essere accusata di razzismo». Fine della trasmissione? Neanche per idea. La prossima puntata dopo la pubblicazione del comunicato del giudice sportivo.

Per chi vuole l'ergastolo a Ibra e la carezza a Lukaku sarà una seconda imperdibile occasione.

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