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Identità e rottura. Con lui è rinato il conservatorismo

Ha ridato dignità ai dimenticati e all'idea di nazione. Ha polarizzato, ma ha vinto

Identità e rottura. Con lui è rinato il conservatorismo

Che abbia vinto o abbia perduto (quando i lettori leggeranno queste righe forse lo sapranno già) Donald Trump sarà comunque vittorioso. E, nel caso di sua uscita di scena dalla Casa Bianca, non potrà essere accostato a predecessori bloccati subito al primo mandato come Carter e Bush sr. Quelli erano presidenti del declino, nel primo caso dei vecchi dem, nel secondo del reaganismo. Mentre Trump è l'inventore di una nuova tradizione, e anzi diremo di una nuova destra. In caso (malaugurato) di sconfitta questa destra o questo nuovo conservatorismo (per noi sinonimi) naturalmente dovrà aggiornarsi e adeguarsi, ma non potrà, neanche volendo, tornare ai tempi precedenti all'apparizione sulla scena politica dell'imprenditore statunitense. I nostalgici dei teocon bushiani, del reaganismo anni Ottanta, o addirittura di una destra «pulita ed elegante» tanto somigliante alla sinistra, che poi non è mai esistita, si mettano l'anima in pace. Trump è uno di quei leader che la scienza politica chiama trasformativi, perché mutano in profondità la cultura politica della loro parte politica e al tempo stesso quella delle altre, e di tutto il Paese. Reagan e Thatcher sono stati leader trasformativi, più indietro De Gaulle, in Italia De Gasperi, Craxi e Berlusconi.

Trump ha imposto la mutazione del conservatorismo su almeno tre punti chiave. Il primo è quello sociologico. Anche prima di Trump e in particolare con il primo Reagan, esisteva un voto operaio e popolare di destra, che però in America, soprattutto negli anni di Bush jr, era diventata il partito dei ricchi e anche un po' degli stronzi, se è consentito il termine. Questo conservatorismo si è infranto contro Obama e su un partito repubblicano distrutto e contestato dai tea party (senza i quali Trump non esisterebbe) è emerso un leader che ha rivoluzionato la sociologia elettorale. Ora, non solo negli Usa, la destra è soprattutto il partito degli operai, dei lavoratori a basso reddito, del ceto medio impoverito. Ovviamente i conservatori sono ostili alla lotta di classe quindi cercano i voti anche delle fasce abbienti: ma il core business della destra è oggi soprattutto il popolo. E questo non cambierà anche con Trump uscito di scena.

Il secondo fattore rivoluzionario è quello della polarizzazione. In Italia noi, con Bossi e Berlusconi, siamo stati antesignani, ma Trump ha portato la strategia a un livello di perfezione. In un'epoca, quella precedente al 2016, in cui sembrava che destra e sinistra fossero «berretto bianco o bianco berretto», per utilizzare un'espressione francese, cioè la stessa cosa, perché parlavano allo stesso modo, Trump ribalta i canoni del politicamente corretto, dice ciò che pensa l'americano medio, il forgotten man della crisi economica mai risolta in otto anni da Obama. E soprattutto recupera l'essenza della politica: quella della contrapposizione amico/nemico. Che è un modo per restituire dignità e autonomia alla politica contro la tecnocrazia, la burocrazia e oggi una sanitocrazia arrembante, che vogliono comandare senza essere legittimate. Trump, come Berlusconi prima, sono convinti dell'incarnazione del potere nelle mani del capo, unto dal suffragio universale, dai voti.

L'ultimo punto da sottolineare è quello ideologico, anche se il presidente non è un ideologo come erano per certi aspetti Reagan e Thatcher. A una destra globalista e internazionalista, ormai indistinguibile dalla sinistra, Trump ha sostituito una nuova destra che recupera il valore della nazione e della patria. Nazionalismo, prima di Trump una parolaccia anche tra i conservatori, è diventato ora un termine spendibile. E la nazione è veramente tutto ciò che possiede una comunità politica. Con Trump poi i conservatori diventano identitari. La lotta politica per Trump è stata una affermazione della identità americana, che è poi quella occidentale, in cui la religione cristiana possiede un ruolo fondamentale. Se i bushisti teocon, spesso atei ex marxisti, vedevano nel cristianesimo solo un'arma da brandire contro l'islam, rimanendo per il resto relativisti, per Trump la religione cristiana è dotata di verità. E proprio perché è dotata di verità può essere da guida all'opera del politico (senza clericalismo ovvio).

Dopo Trump, niente diluvio, la marcia del nuovo conservatorismo è solo all'inizio.

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