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Le idi Di Maio e i grillini a pezzi

Con un mese abbondante di anticipo sul calendario sono arrivate le Idi di Maio.

Le idi Di Maio e i grillini a pezzi

Con un mese abbondante di anticipo sul calendario sono arrivate le Idi di Maio. Per carità, il ministro degli Esteri non è Giulio Cesare e, per fortuna, non lo ha accoltellato nessuno, ma quello che è successo ieri è sicuramente uno spartiacque nella storia dei 5 Stelle. E la congiura nei confronti dell'ambizioso grillino è più che un'ombra. Luigi Di Maio si è dimesso dal comitato di Garanzia del Movimento. Sia chiaro: fino a ieri la maggior parte degli italiani non aveva neppure idea dell'esistenza di questo organo interno ai pentastellati e viveva ugualmente bene. Ma questa decisione impatta inevitabilmente sulla geografia politica italiana, non si può derubricare a bega di partito. Quella dell'inquilino della Farnesina è una scelta obbligata, se non lo avesse fatto lui glielo avrebbe chiesto Giuseppe Conte. Che, non a caso, ha accolto con grande favore questa scelta. Ma la mossa di Di Maio è, di fatto, il primo passo verso l'addio al Movimento del quale è stato leader. Abbandono forzato, stretto nella tenaglia tra le ambizioni smodate dell'ex premier e l'immobilismo conservatore del padre padrone Beppe Grillo. Di Maio andava bene ai Cinque Stelle quando era il ragazzo di bottega, l'ex steward dello stadio San Paolo paracadutato nei palazzi del potere. Con le sue ingenuità e le sue inesperienze. Ora che si è strutturato, ora che ha tessuto una trama trasversale di rapporti, ora che ha imparato a conoscere anche le retrovie del Palazzo non va più bene. Troppo sveglio e quindi troppo pericoloso. È un po' come dire a un pilota di aerei di linea: hai fatto troppo ore di volo, lascia la cloche a qualche incapace, così ci schiantiamo meglio. Una follia, il rovesciamento della meritocrazia, ma tutto sommato coerente con la filosofia grillina dell'uno vale e uno e di conseguenza tutti non valgono nulla.

Il divorzio tra il ministro degli Esteri e i papaveri del partito, come in una coppia vip, si consuma a colpi di lettere pubbliche, note di agenzia e post sul blog. Sono mesi che sotto il coperchio della pentola grillina cuociono pezzi di una storia che ormai si è divaricata, che non può più stare insieme. «Penso che all'interno di una forza politica sia fondamentale dialogare, confrontarsi e ascoltare tutte le voci. Tutte le anime, anche chi la pensa in maniera diversa, devono avere spazio e la possibilità di esprimere le proprie idee», sibila Di Maio svelando quello che sapevano tutti. Cioè che dalle parti dei Cinque Stelle non è ammesso il dissenso e c'è una marcata allergia nei confronti di chi osa intraprendere un cammino che abbia un minimo di autonomia.

La risposta di Grillo arriva poco dopo con un lungo e fumoso articolo pubblicato sul suo blog. Un pizzino interminabile, in cui Di Maio non viene mai citato ma è presente in ogni parola. Grillo ribalta il tavolo e la frittata, vagheggia un rilancio di un Movimento agonizzante - ai minimi nei sondaggi - e delinea un nuovo significato per le cinque stelle, senza accorgersi che ormai sono precipitate al suolo. È come se Grillo, sprofondato nel divano della sua villa genovese, si fosse improvvisamente accorto che gli si sono scaricate le pile del telecomando. Schiaccia i pulsanti, ma dall'altra parte, a Roma, non risponde più nessuno. Perso il segnale. Il generale è rimasto senza soldatini. Luigi Di Maio, dopo mesi di logoramento, ha spento il ricevitore. Fine delle trasmissioni. Risponde solo Conte, che non avendo nulla da perdere, ha la speranza di aver qualcosa da guadagnare. Siamo alla resa dei conti finale e, come nella saga di Highlander, ne rimarrà uno solo: il peggiore.

Quelli che sanno fare qualcosa, ormai è chiaro, li fanno scappare.

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