Ignazio la vera bestia nera Ha logorato il premier più di Bersani in due anni

Nonostante Renzi dica che il capitolo è chiuso, la partita finirà solo con il voto in primavera. Marino ha invertito il «trend Letta»: quello dei rottamati troppo docili

Ignazio la vera bestia nera Ha logorato il premier più di Bersani in due anni

Se l'esperienza di Ignazio Marino in Campidoglio si è definitivamente chiusa ieri, sono in molti a pensare che a essersi aperta adesso è una guerra senza esclusione di colpi tra l'ormai ex sindaco e Matteo Renzi. Uno scontro che è con ogni probabilità destinato ad accendersi nei giorni a venire, almeno stando ai primi messaggi mandati ieri da un Marino che non ha esitato a puntare pubblicamente il dito contro il premier e il Pd.

Per Renzi, insomma, la partita è appena agli inizi. Anche perché il solo fatto che Roma tornerà al voto in primavera regala al sindaco uscente un fenomenale palcoscenico mediatico. Se Marino ha intenzione di togliersi qualche sassolino e regolare i conti in sospeso con quello che definisce «l'unico mandante» del suo «accoltellamento» (leggi Renzi), ha infatti davanti una campagna elettorale che sarà lunga e per il Pd anche piuttosto ardua. Con un rischio altissimo che a Roma i Democratici finiscano per implodere, magari lasciando spianata la strada del Campidoglio ai Cinque Stelle. Il che, per Renzi, equivarrebbe a una sconfitta politica senza precedenti, molto peggio - per capirci - di una vittoria del candidato del centrodestra.

Che la situazione sia più che delicata deve averlo capito anche il premier. Forse per la prima volta da quando ha iniziato la sua inesorabile scalata al Pd, infatti, Renzi si è trovato a fronteggiare uno che certo non è meno spregiudicato di lui. D'altra parte, per ritirare le dimissioni da sindaco come ha fatto Marino ci vuole più o meno lo stesso coraggio che ha avuto Renzi nel prendere il posto di Letta a Palazzo Chigi dopo l'ormai celebre #enricostaisereno .

E qui, forse, sta il vero punto di caduta della partita in corso. Uno scontro che, nonostante il premier si sia affrettato a parlare di «pagina chiusa», è ben lontano dalla conclusione. La discriminante rispetto ad altri dissidi, più o meno accesi, sta probabilmente nell'inattesa resistenza e disinvoltura con cui Marino ha risposto agli affondi del premier. Che Renzi volesse la sua testa ormai da tempo, infatti, non è certo un mistero per nessuno, tanto che a Palazzo Chigi ora scaricano apertamente ogni responsabilità su Matteo Orfini, reo - in qualità di commissario straordinario del Pd - di aver troppo difeso Marino e di non aver saputo gestire la vicenda. In verità, quel che davvero è stato diverso nello scontro su Roma è l'ostinazione dell'ormai ex sindaco. Che in due settimane di braccio di ferro con Renzi è stato decisamente più combattivo e battagliero di Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta negli ultimi due e passa anni. Il primo gli ha consegnato il Pd e il secondo Palazzo Chigi senza colpo ferire, mentre Marino ha scelto la via della resistenza, a tratti quasi ossessiva se è perfino tracimata nel ridicolo con la scelta di ritirare le dimissioni.

Tutti troppo docili, insomma, i rottamati da

Renzi. A partire dal primo, quel Lapo Pistelli che si vide soffiare la candidatura a sindaco di Firenze da quello che era stato il suo portaborse. Tutti tranne Marino. Che ora pare davvero un kamikaze in picchiata sul Pd.

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