Ancora un giorno, al massimo due. Poi gli ufficiali che dall'interno di questa caserma di campagna trasformata in situation room dirigono la caccia a Igor Vaclavic dovranno prendere atto che non c'è più niente da fare. Che ogni canneto, ogni argine, ogni rudere di questi venti chilometri è stato passato al setaccio senza risultato. E arrendersi al dubbio che ormai serpeggia apertamente, tra gli uomini in mimetica e col mephisto che escono in missione: Igor è andato. È riuscito - forse subito, dopo l'ultimo delitto, o forse negli ultimi giorni - ad attraversare il cerchio che si cercava di stringergli intorno. Se lo steppenwolf armato di Smith & Wesson ha guadato il Reno può essere ovunque, anche a decine di chilometri da qui.
Di questo clima di pessimismo il segno più esplicito arriva ieri, con l'appello a Igor - ovvero Ezechiele, ovvero Norbert Feher - ad arrendersi. È un appello umanitario, lanciato dal cappellano del carcere di Ferrara che per anni ha avuto il serbo tra i suoi ospiti. Ma è chiaro che se la tra le vie d'uscita si comincia sperare in una resa spontanea del fuggiasco significa che la fiducia in una cattura inizia a scarseggiare. Da ieri sono entrati in scena anche i droni che pattugliano dall'alto la zona già perlustrata dagli elicotteri: anch'essi senza risultato.
«Noi ti chiamiamo fratello, e per sempre, e ti chiediamo di consegnarti ed evitare altre irreparabili tragedie e scontri», scrivono don Antonio e i catechisti. «Nemmeno tu sei fatto per il male perché Dio ti ha creato per il bene, per amare e essere amato. Il male e il dolore che hai causato alle vittime, alle loro famiglie, e a tutta la nostra gente, non sarà recuperabile, ma ti scongiuriamo di riaprire la tua vita al mistero di Cristo presente nella Chiesa».
Ovviamente, nessuno si illude che il richiamo a Cristo possa fare grande breccia nel cuore di un uomo che - questo ormai è chiaro - per anni, in prigione, si è finto diverso da quello che realmente è. Il vero Igor è l'assassino spietato che si aggira ormai da due anni tra queste campagne. Un bandito feroce, ma lucido. E il vero argomento che si spera lo spinga alla resa, implicito nell'appello del cappellano, è assai concreto: puoi salvare la pelle, non ti verrà torto un capello. Meglio l'ergastolo che una raffica di M12 nel torace.
Tutto questo sforzo di convincimento presuppone che in qualche modo Igor, arrivato al suo dodicesimo giorno di fuga, sia ancora in grado di comunicare col mondo, di venire a sapere cosa sta accadendo intorno a lui. Nessuno smartphone regge dodici giorni senza essere caricato. Se è ancora da queste parti, oggi Igor è un uomo che si muove alla cieca, senza punti di riferimento né possibilità di contatti telefonici.
Certo, cambia tutto se i timori che circolano sono fondati, e se davvero Igor ha rotto l'accerchiamento ed è già lontano dall'epicentro delle ricerche. Perché una cosa è certa: da qualche parte, nella vasta area teatro delle sue gesta degli ultimi due anni, Igor-Norbert-Ezechiele ha una o più basi sicure, un alloggio in grado di ospitarlo. Quando la sera del 31 marzo ha fatto irruzione nel bar di Budrio non veniva da notti all'addiaccio come le scorse, ma da una casa in piena regola. Una base che finora non è mai stata individuata. Se Igor ha superato il Reno viaggiando verso Est, potrebbe avere già raggiunto la sua base, a ridosso di un territorio che conosce bene, quello tra Ravenna e il delta del Po, martellato da lui e dalla sua banda nell'estate di due anni fa, appena uscito dal carcere di Ferrara.
La caccia a Igor non si fermerà. Ma è chiaro che se non ci saranno novità nelle prossime 24 o 48 ore, si va verso una fase due della caccia all'uomo: non più in aperta campagna ma nei centri abitati e forse addirittura nelle città, dove un trasformista come il serbo può riuscire a cavarsela anche se le sue foto (troppe foto, e troppo diverse l'una dall'altra, e quindi ardue da memorizzare) sono su tutti i giornali.
Delle sue capacità di dissimulare una testimonianza eloquente viene da un ex compagno di cella, intervistato dalla Nuova Ferrara: «Raccontava di essere siberiano, di aver fatto parte dei servizi segreti russi e di essere poi scappato togliendosi con un coltello il tatuaggio che i militari hanno alla caviglia». Tutto falso, se la biografia del vero Igor è quella raccontata l'altra sera dal comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette.
Ma almeno un dettaglio, non era inventato: quello della brusca rimozione del tatuaggio dalla caviglia. «Ho visto la cicatrice - racconta il compagno di cella - e sarà stata lunga venti centimetri». Fatta da solo, e senza anestesia. Questo è l'uomo cui si dà la caccia.
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