Stop ai grandi centri, accoglienza diffusa, tempi brevi per le domande d'asilo (6-7 mesi invece degli attuali 2 anni). Per spiegare la sua idea di sicurezze a integrazione, il ministro dell'Interno Marco Minniti sceglie Sesto San Giovanni, la cittadina che ha visto finire su un marciapiede della stazione ferroviaria la fuga del killer di Berlino Anis Amri. Accetta l'invito e incontra i Comuni dei del Nord Milano, fascia caldissima dell'hinterland che rischia l'etichetta di «Molenbeek d'Italia» (per evocare i sobborghi di Bruxelles da cui è partita la minaccia terroristica che oggi incendia mezza Europa). Motiva i sindaci sul tema sicurezza e li sprona sull'immigrazione, indicando nel patto per Milano sul tavolo della prefettura il modello da seguire. «L'obiettivo - annuncia - è superare i grandi centri di accoglienza, poco utili se non in casi di emergenza». «Se tutti accolgono - spiega - il problema si risolve, se lo fa meno della metà è più difficile».
Il nuovo prefetto, Luciana Lamorgese, che proprio dal Viminale arriva, ha incardinato e sottoposto ai sindaci della ex provincia un protocollo per una accoglienza definita fin dal titolo «equilibrata, sostenibile e diffusa». L'obiettivo è dare sollievo al capoluogo: oggi Milano è alle prese con un sistema (al collasso) che ospita quasi 4mila migranti, mentre un centinaio di Comuni non è coinvolto. La filosofia dunque è chiara: continuare ad accogliere (in strutture pubbliche o reperendo sistemazioni presso privati) ma accogliere un po' meno se ognuno fa la sua parte. Si parla di 6 posti nei centri piccolissimi e 2,6 persone ogni mille abitanti negli altri. Aderendo, i Comuni otterrebbero uno «sconto», non aderendo potrebbero essere comunque «costretti» a contribuire, in caso di spazi pubblici a disposizione.
L'orizzonte temporale del piano di accoglienza «graduale» è la fine del 2017. Il ministro vuole chiaramente accelerare. E, davanti ai sindaci, mette virtualmente la sua firma sotto il protocollo: «Stiamo lavorando per convincere tutti i comuni a accettare quel patto - spiega - se tutti accettassero quel patto sarebbe un segnale per il Paese». Minniti nega con determinazione l'equazione fra immigrazione e terrorismo («tecnicamente sbagliata) e costruisce quella fra mancata integrazione e terrorismo.
Mette in campo persuasione ed esperienza, e mostra di conoscere la posta in gioco. «Un pezzo di democrazia italiana si gioca su questo», «su questo ci giocheremo i prossimi 15 anni del nostro Paese», avverte. E intanto non fa passi indietro sul tema della sicurezza urbana (fuori qualche esagitato dei centri sociali prova a contestare).
Sesto San Giovanni è una cittadina dalle fortissime tradizioni di sinistra e industriali. Il Comune è stato a lungo amministrato dall'ex Ds Filippo Penati, che stringe mani e ascolta in platea. Poco più avanti è seduto, e poi lo abbraccia, l'ex segretario generale della Cgil (oggi presidente dell'Anpi regionale) Antonio Pizzinato, che in quei banchi consiliare è stato consigliere e capogruppo. L'enfasi sul tema sicurezza e sulle regole va di pari passo con il sì all'accoglienza: «Non deve ma venire meno».
La bozza di patto preparata in prefettura ha suscitato la reazione negativa della Lega, mentre altri sindaci si sono divisi fra un sostanziale via libera, alcune controproposte (anche di sindaci di Forza Italia) e qualche «temporeggiamento» (anche a sinistra) dovuto all'imbarazzo di accettare il piano proprio in coincidenza con la campagna per le imminenti prossime elezioni amministrative. L'appello del ministro è trasversale: «Dobbiamo lavorare insieme anche al di là delle diverse storie politiche, per costruire un Paese che sappia accogliere, integrare e garantire i principi di sicurezza».
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