Ilva, Gozzi chiede i fondi della Difesa

Rischio chiusura entro luglio. Il presidente Federacciai: "È come un asset militare"

Ilva, Gozzi chiede i fondi della Difesa
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Fine luglio. È questa la nuova deadline per l'ex Ilva allo stremo che, tra poco più di un mese, potrebbe spegnere anni di storia e l'unico altoforno ancora attivo. A dirlo senza mezzi termine, nel confronto con i sindacati andato in scena venerdì, è stato lo stesso ministro delle Imprese Adolfo Urso che, di fronte al muro contro muro degli enti locali, tratta ancora ma avverte i sindacati del pericolo imminente. Diecimila persone (oltre 20mila con l'indotto) senza più occupazione. E così, dopo settimane di silenzio, il presidente di Federacciai Antonio Gozzi scende in campo riconoscendo quanto "non sia chiaro se si voglia davvero mantenere in attività il polo siderurgico" e lanciando una provocazione che potrebbe però essere l'unica via di un salvataggio/nazionalizzazione in extremis.

Per Gozzi, la questione dell'Ilva riguarda la sicurezza strategica nazionale: "Non possiamo aumentare le spese per la Difesa e allo stesso tempo acquistare le lamiere per Fincantieri chissà dove. Uno stabilimento come Taranto va trattato come un asset militare". Insomma, la suggestione potrebbe essere la soluzione: salvare l'Ilva impiegando i soldi destinati alla Difesa.

Non senza qualche sacrificio. Per Gozzi, "diecimila dipendenti per produrre 5 milioni di tonnellate, gli stessi di quando si producevano 10 milioni: è insostenibile". Quanto alla questione ambientale, che ancora una volta oggi muove gli enti locali con prese di posizione pretestuose, Gozzi spiega che "l'impianto è uno dei più ambientalizzati d'Europa, con interventi mirati per ridurre le emissioni inquinanti. Ma questo concetto non deve essere confuso con la decarbonizzazione". Il secondo concetto riguarda l'eliminazione della CO2 dai processi industriali, in particolare dagli altiforni. "La decarbonizzazione è la lotta al cambiamento climatico che poco ha a che fare con le note problematiche del territorio ionico", e che è impossibile da fare in tempi brevi.

Un chiaro riferimento al fatto che gli enti locali, e in particolare il Comune di Taranto, stiano bloccando l'accordo interministeriale propedeutico all'Aia proprio per i tempi lunghi di questo processo (2039) oltre ad altri veti (come la presenza di una nave rigassificatrice e di un dissalatore nel porto della città).

"Occorre che l'Aia consenta l'esercizio di almeno due altoforni fino a quando non saranno realizzati i forni elettrici Dri, e che si rifaccia alle regole europee senza le attuali eccessive prescrizioni", ha detto Gozzi esortando: "Il governo deve battersi in Europa per prorogare le quote gratuite di CO2, altrimenti i costi saranno insostenibili". Sull'idrogeno "da mettere negli impianti Dri, considerando che si parla del 70% al posto del gas dopo il quarto anno" ha infine avvertito: "La decarbonizzazione con l'idrogeno in queste percentuali non si può fare". E mentre si discute sulle vie d'uscita, martedì è atteso un incontro istituzionale dedicato al processo di decarbonizzazione dell'acciaieria ex Ilva di Taranto, alle prospettive produttive e all'ipotesi di accordo di programma in discussione con il governo. La riunione è stata convocata dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ed è rivolta alle organizzazioni sindacali metalmeccaniche regionali e territoriali - Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm, Ugl Metalmeccanici e Usb - oltre che ai rappresentanti istituzionali e tecnici regionali coinvolti.

Ma se le posizioni delle parti restano ferme poco si potrà fare per trovare una via d'uscita. Urso ha infatti ribadito che se entro luglio non si arriverà all'accordo di programma e all'Autorizzazione integrata ambientale è possibile la chiusura delle acciaierie, a causa della sentenza del Tribunale di Milano.

Si teme che applicando la sentenza della Corte di Giusitizia Ue di un anno fa, il tribunale possa decidere per lo stop alla produzione, accogliendo la richiesta dei cittadini di Taranto che si sono costituti in giudizio.

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