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Immigrazione, il piano bluff della Ue

In arrivo il "Juncker bis". Le quote obbligatorie per gli Stati Membri potrebbero essere un boomerang per l'Italia

Immigrazione, il piano bluff della Ue

Roma - Il conto alla rovescia è partito. Il «Piano Juncker bis» - il secondo dopo quello (non proprio esaltante) per la crescita europea - sta per essere varato. Mercoledì la Commissione dovrebbe approvare un'Agenda per l'immigrazione capace - a dar retta alle fanfare che risuonano in queste ore - di segnare una «svolta» definendo un sistema di quote obbligatorio per gli Stati Membri dell'Ue. In sostanza l'introduzione del principio del «dovere dell'accoglienza».

Nel testo l'imperativo sarà quello di «una giusta e bilanciata partecipazione di tutti gli Stati al meccanismo di distribuzione». I criteri saranno quelli di cui già si era parlato il 20 aprile scorso, in Lussemburgo (e che il Consiglio europeo non aveva neppure preso in considerazione). In sostanza una chiave di redistribuzione dei migranti basata su Pil, densità di popolazione per chilometro quadrato, tasso di disoccupazione, numero di asilanti ospitati in passato e (forse) sulla popolazione straniera residente. Tutti indici che si legherebbero insieme in un algoritmo, parametro scientifico e non discutibile per un «sistema di riallocazione automatico e obbligatorio».

Naturalmente la narrazione giornalistica di queste ore sembra indulgere a un ottimismo eccessivo. E il rischio che la svolta si trasformi in un bluff è elevatissimo. I motivi? Innanzitutto la proposta riguarderebbe solo il 20%-30% circa di chi sbarca, ovvero quelli che hanno realmente i requisiti per l'asilo. A queste condizioni potrebbe addirittura aumentare il numero dei rifugiati che restano in Italia. In secondo luogo bisognerà osservare con attenzione se i criteri di distribuzione resteranno quelli iniziali o ci saranno correzioni «scientifiche» in corso d'opera. Altre domande di difficile soluzione: i profughi non avranno diritto di libera circolazione? E se devono ricongiungersi a familiari in altri paesi? Come fare a trattenerli dove non vogliono stare?

C'è poi la questione degli Stati Membri. Perché se pure il Piano venisse approvato dalla Commissione dovrebbe poi passare il vaglio del Consiglio. E lì inizia il calvario. «Le quote volontarie sono già disciplinate dal Regolamento di Dublino» spiega Laura Ravetto, presidente del Comitato Parlamentare Schengen. «Altro discorso è l'obbligatorietà e su questo le resistenze saranno fortissime, anche se il segnale che arriva dalla Commissione è importante». In queste ore in molti puntano sul potere di «moral suasion» della Germania. Angela Merkel - che teme l'arrivo di 400mila profughi sul proprio territorio - potrebbe fare pressione sugli Stati per convincerli ad accettare il principio della condivisione. Ma difficilmente riuscirà a fare breccia nelle convinzioni di Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca, Regno Unito, Irlanda, Finlandia e Paesi Baltici. Senza dimenticare che anche la Svezia - finora un modello di accoglienza - nutre perplessità perché vuole decidere da sola il numero degli asili concessi. A quel punto «se il nuovo round europeo dovesse risolversi in un nulla di fatto» spiega Laura Ravetto «l'Italia dovrebbe alzare la voce e sottrarre unilateralmente le spese per l'accoglienza dal contributo annuo versato all'Ue». Senza dimenticare un altro elemento: l'aumento dei fondi per Triton - teoricamente triplicati fino a 9 milioni mensili - è al momento lettera morta.

La conferma è arrivata dalla portavoce del commissario Ue all'immigrazione che ha rivelato che «la Commissione spera di presentare una proposta di rettifica del bilancio a Parlamento e Consiglio entro metà maggio e spera sia adottato velocemente».

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