New York Fuori l'accusa, dentro la difesa. Dopo le durissime arringhe dei democratici, arrivati a definire Donald Trump «un dittatore», i legali del presidente americano prendono la parola nell'aula del Senato, dove è in corso il processo di impeachment contro di lui. Come gli avversari avranno 24 ore di tempo su tre giorni per respingere le accuse di abuso di potere e ostruzione al Congresso mosse al tycoon. «Quello che conta sono i fatti, e questi dicono che il presidente non ha fato nulla di sbagliato. Non ci sono prove», afferma Pat Cipollone, che guida il team di legali di Trump, nella sessione abbreviata di ieri mattina. «Ciò che vi stanno chiedendo è non solo di rovesciare i risultati delle elezioni del 2016, ma anche di rimuovere il presidente da quelle del 2020, impedendo agli americani di decidere. È la più grande interferenza della storia delle elezioni Usa», prosegue.
Mentre The Donald, in un'intervista a Fox, ribadisce che si tratta di «una caccia alle streghe». «Vogliono solo vincere le presidenziali», sottolinea: «Quello che dovranno fare in aula i miei difensori è solo essere onesti e dire la verità. Non si può essere messi sotto accusa senza aver commesso alcun crimine». I democratici, invece, nel loro appello finale, hanno addirittura implorato i senatori repubblicani di condannare il Commander in Chief per l'Ucrainagate. «Vi chiedo, vi imploro, di permettere ai testimoni di venire a parlare qui in aula», ha detto Adam Schiff, il presidente della commissione Intelligence della Camera: «Bisogna dare all'America un processo giusto, è quello che il Paese si merita». Per Schiff, «se dovesse fallire il tentativo di rimuovere Trump dal suo incarico, rappresenterebbe una minaccia grave e di lungo termine per la democrazia Usa. Se si permette al presidente di dire che la Costituzione lo autorizza a fare quello che vuole - ha proseguito - verrebbe inferta all'America una ferita senza fine». Mentre il deputato dem Jerry Naddler, un altro dei rappresentanti dell'accusa, è arrivato persino a definire il tycoon «un dittatore»: «Se non viene rimosso dal suo incarico il Congresso avrà perso ogni potere e non potrà più chiedere conto a nessuno delle sue responsabilità».
Nel frattempo è stato consegnato alla commissione Intelligence della Camera l'audio rubato in cui Trump chiederebbe di cacciare l'allora ambasciatrice Usa in Ucraina, Marie Yovanovitch. La registrazione sarebbe stata effettuata da Lev Parnas, l'ex socio di Rudolph Giuliani, nel corso di una cena privata nell'aprile del 2018, un anno prima che la diplomatica venisse effettivamente richiamata. E la questione del siluramento dell'ambasciatrice avrebbe pure fatto perdere le staffe al segretario di Stato Mike Pompeo. Almeno stando al racconto della giornalista di Npr (la radio pubblica americana) Marie Louise Kelly, la quale sostiene che il titolare di Foggy Bottom l'avrebbe aggredita verbalmente dopo un'intervista proprio a causa dell'insistenza nelle domande su Yovanovitch. Nel corso del colloquio Pompeo si è limitato ad affermare di aver «sempre difeso ogni funzionario del Dipartimento di Stato». Al termine però, dietro le quinte, avrebbe scatenato la sua ira sulla giornalista, dicendole: «A chi vuole che importi dell'Ucraina?», e sfidandola ironicamente a trovare lo stato europeo sulla carta geografica.
La versione di Kelly è stata seccamente smentita da Pompeo: «È vergognoso che abbia scelto di violare le regole di base del giornalismo e della decenza. Questo è un altro esempio di come i media si accaniscano contro il presidente Trump e la sua amministrazione».
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