
Cominciato male e finito peggio. Il "caso Ciro Grillo", la vicenda dell'accusa per stupro al figlio del comico e politico e ai suoi amici, è un esempio da manuale di come la giustizia italiana riesca a non rispondere ai diritti di chi finisce nelle sue ruote, sia come vittima che come indagato. Ieri il procuratore Gregorio Capasso pronuncia la sua requisitoria quando sono passati quasi sei anni dalla notte in cui la compagnia di Grillo junior invitò le due ragazze milanesi nella villa di Beppe in Costa Smeralda. Qualunque sarà la sentenza, quando arriverà gli imputati saranno uomini diversi dai ragazzotti di quella notte. E le due giovani donne che li hanno denunciati avranno trascorso un tempo inaccettabile in attesa di conoscere la decisione della giustizia.
Di una certa lentezza di riflessi la magistratura aveva dato segnali già nell'estate in cui tutto avviene, quella del 2019. Il 26 luglio S., la ragazza di origine norvegese che dà il via all'inchiesta, si presenta dai carabinieri di Milano a sporgere denuncia. Perché scattino le perquisizioni a carico di Grillo junior, Vittorio Lauria, Francesco Consiglia e Edoardo Capitta passa oltre un mese: 29 agosto, un ritardo inspiegabile in una materia dove la rapidità nel cercare i riscontri è decisiva. Poi ci vogliono altre due settimane perché i pm mandino i carabinieri a vedere per la prima volta la villa di Arzachena, cercando tracce che ovviamente non ci sono più. Dopodichè, l'indagine diventa una specie di film al rallentatore. Le indagini preliminari durano sedici mesi, un eternità. Il 20 novembre 2020 viene notificato agli indagati l'avviso di chiusura, ma nelle carte manca la seconda violenza contestata al quartetto, i genitali piazzati in faccia a R., l'altra ragazza, addormentata e fotografata: altri sei mesi per il nuovo avviso. Un altro anno, incredibilmente, passa prima della richiesta di rinvio a giudizio, altri quattro mesi per l'udienza preliminare. Il 16 marzo 2022 inizia il processo ai quattro figgeu della Genova bene, e qua si entra nell'assurdo: il tribunale di Tempio Pausania, lamentando sovraccarico di lavoro e carenza di organici, dedica al caso più eclatante avvenuto sotto la sua giurisdizione solo una udienza al mese, con pause sotto le feste e nei periodi estivi. Migliaia di carte e settanta testimonianze vengono diluiti tra un rinvio e l'altro, il primo calendario stilato dal tribunale prevede udienze fino al giugno 2023 ma è chiaro fin dall'inizio che a quei ritmi una conclusione è impensabile. Così di rinvio in rinvio si arriva fino ad oggi. In mezzo ci sono udienze inutili e altre drammatiche, come quelle in cui S. e R., le due ragazze, vengono sottoposte in aula al controinterrogatorio dei difensori del quartetto, assediate con domande che puntano a demolire la loro attendibilità, a convincere il tribunale che davvero quella notte S. ha fatto sesso a rotazione con il gruppo di sua spontanea volontà, di sua iniziativa, lucida e consapevole. Ma tutto si diluisce nei tempi rarefatti delle udienze, e ogni volta avvocati e magistrati devono ricorrere agli appunti per ricordarsi cosa è accaduto all'udienza precedente.
Ora, solo ora, i tempi accelerano. Ieri il procuratore Capasso inizia la sua requisitoria, oggi la dovrebbe concludere e dare la parola a Giulia Bongiorno, avvocato di parte civile per S.; la settimana prossima tre udienze di fila, a partire da mercoledì, per gli interventi dei difensori: un ritmo quasi sincopato, e che potrebbe saltare proprio per l'affollamento degli interventi, ma che dimostra che volendo una strada più veloce per fare il processo si poteva trovarla.
Tutto pronto per la sentenza,
con le arringhe difensive della settimana prossima? In teoria sì. Ma a quel punto incombe la sospensione feriale, e tutto verrà rinviato al mese di settembre. Visto che ormai sono passati sei anni, in effetti, cosa cambia?