Economia

"Industria senza risorse. La colpa è del reddito e del welfare elettorale"

Il leader di Base Italia: "I tavoli di crisi sono bloccati dal 2018 per mancanza di fondi"

"Industria senza risorse. La colpa è del reddito e del welfare elettorale"

Marco Bentivogli, coordinatore nazionale di Base Italia, i casi Gkn, Gianetti, Timken e Whirlpool rappresentano una crisi di filiera o sono causati dallo sblocco dei licenziamenti?

«I casi Gkn e Gianetti non hanno a che fare con l'avviso comune sottoscritto da governo, sindacati e Confindustria perché anche l'anno scorso era possibile licenziare in caso di cessazione di attività. Queste aziende non hanno accolto l'invito a utilizzare le 13 settimane di cigs del dl Lavoro per dare spazio a soluzioni diverse, questo è il problema, l'avviso comune non ha alcuna responsabilità».

Come lo spiega, allora?

«La vera questione è che dal 2018 i tavoli di crisi accumulati al ministero dello Sviluppo non si sono chiusi positivamente perché la gran parte degli investimenti è stata utilizzata per il welfare elettorale. Dalla fine del 2018 si è interrotto il piano Industria 4.0 che aveva il merito di incentivare l'innovazione tecnologica. Le risorse, invece, sono state spostate su Quota 100 e reddito di cittadinanza».

Le delocalizzazioni, che sono causa dei licenziamenti, sono anche imputabili alla politica fiscale che rende la produzione più costosa?

«Il fisco è pesante anche su lavoratrici e lavoratori e non solo sulle imprese. C'è anche un problema di burocrazia asfissiante e di scarsa infrastrutturazione del Paese. Sarebbe utile lavorare sul modello del Fraunhofer Institut in Germania. Lo stiamo facendo con InnovAction che riunisce i principali quattro centri di ricerca applicata in Italia. Il Paese europeo che attira i maggiori investimenti diretti industriali è la Germania che salari più alti. Le aziende serie si muovono per cercare competenze e una Pa che funzioni con regole stabili e che non cambiano ogni tre mesi».

Una proroga ulteriore del blocco dei licenziamenti in attesa della riforma degli ammortizzatori, quindi, non ha senso?

«Penso che sia importante l'utilizzo dell'avviso comune che è la posizione più ragionevole. Il tempo si deve guadagnare per costruire politiche di ricollocamento delle persone o trovare le soluzioni per far ripartire le imprese in difficoltà. Da Marzo 2020 si è parlato di blocco si o blocco no, e non di utilizzare il tempo: io, Lucia Valente e Pietro Ichino abbiamo proposto che ai lavoratori che hanno ragionevole certezza di essere licenziati da imprese in difficoltà sin dal 2018-2019 siano assolutamente assicurati ammortizzatori sociali e un percorso fortissimo di riqualificazione. Poi, bisogna mettere insieme in uno stesso istituto d'intervento Anpal e Inps che ha banche dati migliori e eroga le prestazioni per il lavoro».

Lei ha parlato della Germania che innova. I casi di crisi, però, riguardano produzioni non tecnologiche come elettrodomestici e componentistica auto.

«Il settore automotive in Germania è sottoposto ad upgrade tecnologico perché ci sono le strutture che lo sostengono. Le competenze sono trasferite a imprese e lavoratori. In Whirlpool - e lo dicevo dal 2015 - fu sbagliato il piano sul sito di Napoli perché si puntò su una lavatrice di grossa taglia che aveva mercato in Usa, India e Argentina ed è stata colpita dai dazi e dalla crisi argentina. L'azienda doveva costruire un'alternativa di prodotto. Siamo un Paese in cui non si è capito che il nostro rilancio si farà puntando su lavoro e lavoratori in termini di competenze e mirando sulla fascia alta delle produzioni».

Cosa pensa della riforma degli ammortizzatori?

«È un passo avanti. Ma sia quelli temporanei sia quelli strutturali vanno collegati a percorsi di riqualificazione professionale e reinserimento lavorativo. È fondamentale, altrimenti saranno periodi in cui le persone perdono professionalità e competenze».

E la crisi dell'ex Ilva?

«Non sono convinto dell'ingresso dello Stato. Penso che l'acciaio debba farlo chi lo sa fare e bisogna fare in modo che si chiarisca la posizione di ArcelorMittal. Tutto è partito dall'errore di Pd Puglia e M5s di rimuovere lo scudo penale.

Analogamente, bisogna fare in modo che chiunque quando investe rispetti le regole perché è possibile produrre acciaio in modo ecosostenibile ma le istituzioni possono fare da garante se non cambiano idea ogni 4 ore sulla base dei social».

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