Infermiere volontario o fan della jihad? Espulso un pakistano

RomaDopo lo studente turco con simpatie jihadiste che frequentava la Normale di Pisa, un altro presunto fondamentalista è stato espulso dall'Italia.

È un pakistano di 26 anni, Faqir Ghani, che da 12 anni viveva a Civitanova Marche con la famiglia dove lavorava come operaio in un'azienda di calzature e operava come volontario nella croce verde. Pur se perfettamente integrato, però, il pakistano avrebbe postato su Facebook frasi inneggianti alla jihad che non sono sfuggite agli investigatori impegnati a tenere sotto controllo il suo profilo social e i suoi collegamenti con siti pakistani sospetti. Prelevato mentre era al lavoro, Faqir è stato portato in tribunale. Davanti al gip si è difeso escludendo ogni legame con il terrorismo islamico e ha spiegato che in questi anni vissuti in Italia è stato sempre rispettoso di tutte le religioni: i video che aveva scaricato erano di un connazionale. Giustificazioni che non sono servite a salvarlo dall'espulsione immediata. Dallo scorso dicembre sono nove gli stranieri espulsi perché sospettati di avere legami con il terrorismo. Uno di questi, un tunisino che abitava a Novara, era il marito della donna multata perché camminava per strada con il burqa.

Che il pericolo può arrivare anche da estremisti nati nel nostro Paese lo conferma, in un'intervista a Matrix, Mubin Shaikh , un ex jihadista pentito che ora lavora per i servizi segreti canadesi. Secondo l'uomo, nato da una famiglia di immigrati musulmani, tra le file dell'Isis ci sono italiani «pronti a combattere», jihadisti a tutti gli effetti, che hanno solo la cittadinanza italiana ma non si sentono tali e «che possono essere rimandati in “patria” a condurre gli attacchi». «Mi sorprenderei - dice - se non ci fossero italiani in Yemen, magari solo pochi. Certamente ce ne sono in Siria e in Iraq. Credo dai 12 ai 15». Shaikh spiega anche come vengono reclutati gli jihadisti occidentali, adescati soprattutto tra i ragazzi che si sentono fuori posto e che si identificano unicamente come musulmani, attraverso le pressioni dei compagni ma anche per mezzo dei predicatori estremisti e internet.

Mentre si cerca di affilare le armi per far fronte alla minaccia terrorista, potenziando tra l'altro i controlli alle frontiere, cominciano ad affiorare le prime polemiche che mostrano come ancora non ci sia l'invocata unità nella lotta al terrore. Il ministro dell'Interno Angelino Alfano ricorda a tutti come in Italia l'allerta sia altissima, anche se non sono stati individuati progetti mirati ad un particolare obiettivo, al di là del Vaticano spesso apparso come obiettivo simbolico. Moschee e luoghi di culto sono monitorati con attenzione, ma è necessario «distinguere chi prega da chi spara», dice il ministro, ricordando che oggi sarà varato un pacchetto di nuove norme che mirano soprattutto ad individuare i foreign fighters . Eppure il fronte anti-terrorismo non è compatto. L'Europol ha già denunciato come da parte dell'antiterrorismo di diversi paesi ci sia una certa ritrosia a fornire informazioni sui sospettati e c'è chi solleva la questione che maglie troppo strette nelle espulsioni possano finire per penalizzare, insieme a presunti terroristi, poveri cristi che in realtà nulla hanno a che fare con la jihad.

Qualcuno lo ha già fatto con lo studente turco - che ora grida di essere stato trattato come un nemico senza ragione - e ora protestano gli amici e l'avvocato del pakistano volontario della Croce verde: «È un giovane pacifico, tutto meno che jihadista».

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