A furia di mettere la mascherina a molti italiani è caduta la maschera. Hai voglia a dire che il Paese deve restare unito: dopo il Sud contro il Nord «untore» e il dilaniante medici catastrofisti contro medici «benaltristi» nel mirino sono finiti gli insegnanti. «Comodo, eh. Altre settimane di vacanze» è stato il leit motiv sui social e nei discorsi al bar.
Peccato che la verità sia un'altra. È facile pensare che il lavoro dell'insegnante inizi e finisca dentro l'orario scolastico, invece è vero il contrario. Dentro l'aula si sublimano gli sforzi che studenti e professori hanno costruito prima di entrare a scuola. Seppure sottopagati e sottovalutati, se c'è una categoria che in questa crisi ha mostrato di avere a cuore la propria professione sono proprio loro.
Lo sanno bene le migliaia di ragazzi e di genitori che, un secondo dopo l'annuncio della chiusura delle scuole, si sono visti inondare chat e email con video, esercizi, link a portali e Youtube. È e-learning all'italiana: già, perché al netto di qualche lodevole eccezione come il linguistico di Bergamo, il Martino Martini di Trento, l'Alma Mater di Bologna o il Majorana di Brindisi, che sta lavorando a un gemellaggio con l'istituto comprensivo di Lozzo Atestino di Vo' dove i ragazzi sono costretti a restare chiusi in casa a causa del Coronavirus, l'apprendimento a distanza che il governo ha individuato come soluzione alle scuole chiuse è stato - tutto - demandato alla buona volontà dei singoli insegnanti. Lo provano le lettere in cui molti dirigenti scolastico hanno chiesto una mano ai docenti «su base volontaria», proprio per non turbare il sonno dei sindacalisti che ha generato il mostro che dal Sessantotto paralizza l'istituzione scolastica. Immaginatevi un'insegnante di 60 anni, inchiodata alla cattedra dalla riforma Fornero. Beh, molte di loro in questi giorni ci stanno provando. Mandano video, ci ridono su. I tanto demonizzati social sono diventati strumento per trasmettere contenuti, i nuovi guru sono gli «animatori digitali» che dispensano consigli dai loro cellulari incandescenti. Non tutti gli insegnanti sono preparati o «formati», ed è vero, ma forse ci voleva il Coronavirus per colmare il gap generazionale.
Il dramma è che gli insegnanti sono generali senza esercito, scaraventati in prima linea a combattere una guerra più grande di loro. Senza armi, senza alleati e senza credibilità.
Soli, con un cellulare.
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