Intercettazioni, tasse, Pm: riforme stop se c'entra il Cav

Dai reati alla separazione delle carriere dei magistrati, modifiche accantonate perché per la sinistra aiutavano Berlusconi

Intercettazioni, tasse, Pm: riforme stop se c'entra il Cav

Roma - Aprire il freezer e mettere nel congelatore una legge utile agli italiani per il timore che possa favorire, tra gli altri, Silvio Berlusconi. Ignazio Abrignani (Fi) per sventare questo pericolo propone ironicamente di istituire un Dipartimento presso Palazzo Chigi che si occupi del vaglio preventivo sulla produzione legislativa: una sorta di pregiudiziale di costituzionalità al contrario, anzi di garanzia di «anti-berlusconità». Il Mattinale , la nota politica dei gruppi di Forza Italia, sempre sul filo del sarcasmo, invita ad aggirare il «problema» inserendo «un breve comma salva-Italia, dove si dica che per il bene supremo della nazione e il futuro glorioso della sinistra, ogni norma non può essere applicata a favore di Berlusconi, o comunque dei suoi parenti e alla sua discendenza fino alla settima generazione».

D'altra parte la rottamazione dell'articolo 19 bis del decreto attuativo della riforma fiscale da parte di Matteo Renzi - pensato per escludere la punibilità in sede penale di una evasione fiscale non superiore al 3%, mantenendo intatte le sanzioni amministrative - è solo l'ultimo caso di una lunga serie di leggi di interesse generale cestinate pur di non favorire il Cavaliere.

I precedenti di norme impallinate e bollate con il marchio del sospetto sono lunghi. Come ricorda Il Tempo , la prima grande retromarcia fu quella del decreto Biondi, approvato il 13 luglio 1994 con l'obiettivo di vietare la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la Pubblica amministrazione e quelli finanziari. Nonostante i suicidi in carcere di Raul Gardini e Gabriele Cagliari, le dimissioni in blocco del pool milanese impedirono di porre un freno alla custodia cautelare, fattispecie sul cui utilizzo in Italia non si è mai lesinato.

Caso un po' diverso è quello del Lodo Maccanico-Schifani (2003). Su proposta del senatore della Margherita Antonio Maccanico, il 18 giugno 2003 la Cdl approva la legge 140, primo firmatario Renato Schifani, che sospende i processi ai presidenti della Repubblica, della Camera, del Senato, del Consiglio e della Corte costituzionale fin quando sono in carica, sul modello francese. La Corte costituzionale, però, lo annulla nel gennaio 2004. Riproposto come Lodo Alfano nel 2008, tenendo conto delle osservazioni della Consulta, cadde sotto la medesima sorte del precedente. Sempre in ambito giustizia, innumerevoli volte il tentativo di adeguarsi all'Europa con una vera separazione delle carriere dei magistrati o di istituirne la responsabilità civile è stato disinnescato a furor di popolo, attraverso il solito spauracchio del «favore» o della «vendetta» di Berlusconi. Così come nell'ottobre 2013, dopo il messaggio alle Camere con cui Giorgio Napolitano auspicava un indulto come antidoto contro la gravissima situazione delle carceri, le accuse dei grillini contro il capo dello Stato, reo a loro dire di voler salvare Berlusconi, produssero il consueto nulla di fatto.

Lo stesso schema è stato applicato più volte in altri ambiti. Uno dei più evidenti è quello della «par condicio» con l'applicazione del surreale criterio dell'uguaglianza degli spazi, piuttosto che quello basato sulla «proporzionalità» rispetto al peso dei partiti.

Così come sulla pubblicazione delle intercettazioni, a colpi di indignazione per le «leggi-bavaglio», i tentativi di disciplinare la materia sono sempre inciampati nel sospetto e nello spettro del rischio della legge «pro-Silvio». Cacciavite mediatico perfetto per smontare norme pure dotate di ampio favore presso l'opinione pubblica.

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