RomaAnche ieri il mantra del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è rimasto invariato. «L'Italia si impegna per una forte azione diplomatica in ambito Onu» è stato ribadito nel corso del vertice sulla situazione libica con i ministri della Difesa Pinotti, degli Esteri Gentiloni e dell'Interno Alfano (presente anche il sottosegretario con delega ai Servizi Minniti). Quello che si cercherà da fare sin da oggi a New York presso l'Onu (e soprattutto domani a Washington nel vertice sulla sicurezza globale) è spingere per «un'iniziativa urgente per promuovere stabilità e pace in Libia».
Il consiglio di guerra di Renzi ha adottato questa strategia diplomatica. Dopo i proclami iniziali che lasciavano intravedere la propensione per un intervento armato, il presidente del Consiglio ha invertito la rotta. È una scelta puramente pragmatica. Il premier, infatti, vuole un ruolo di primo piano nella gestione della crisi a livello internazionale.
L' understatement , inoltre, consente a Renzi di tenere unita la maggioranza di governo che sull'argomento «guerra» appare abbastanza sfilacciata. Se la spina dorsale del Pd, per tradizione, non teme di misurarsi con le azioni militari (vedere il precedente di D'Alema in Kosovo), lo stesso non vale per gli altri componenti del rassemblement . La minoranza di Largo del Nazareno è iperpacifista. «Il termine combattere non mi piace», ha dichiarato di recente Civati che, in materia, funge da scudo anche per i bersaniani. I Popolari (Ncd, Udc, ecc.), invece, non sembrano particolarmente «allineati». L' imprinting cattolico prevale sull'opportunità di intervenire militarmente in Libia. Il leitmotiv è «serve una risposta globale, bisogna aspettare l'Ue», a turno lo ripetono Buttiglione, Alli o il vicepresidente del Copasir Giuseppe Esposito.
Il soccorso, in questo caso, non può provenire da sinistra come è accaduto per l'elezione di Mattarella. Nichi Vendola, leader di quel che è rimasto di Sel, ripete un giorno sì e l'altro pure che «una nuova guerra sarebbe perseverare nell'errore», pur precisando che la tutela dell'interesse nazionale viene anteposta a qualsiasi pregiudiziale. Le parole le porta via il vento.
Ma anche il governo si destrutturerebbe (come accaduto a Prodi), ove mai l'opposizione dovesse rivelarsi decisiva per l'opzione militare. «Siamo pronti a condividere le scelte che si rendessero necessarie», ha detto ieri il presidente di Fdi, Giorgia Meloni.
«L'intervento militare è inevitabile», hanno detto sia Maurizio Gasparri (Fi) sia Giacomo Stucchi (Lega). Il sì del centrodestra ha un prezzo alto: fermare gli sbarchi ormai gestiti dall'Isis, una richiesta che la sinistra-sinistra non potrebbe accettare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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