La data del 27 aprile 2016 verrà sicuramente segnata in rosso nel calendario della storia di Intesa Sanpaolo. Questa mattina alle 10.30, infatti, gli azionisti della banca guidata da Carlo Messina si riuniranno in assemblea a Torino non solo per approvare il bilancio (chiuso con 2,7 miliardi di utili e 2,4 miliardi di dividendi cash), ma anche per nominare il nuovo cda con il nuovo sistema monistico. Ovvero un unico consiglio di 19 membri dove gli ampi poteri attribuiti all'amministratore delegato vengono contrappesati da un comitato di controllo della gestione dotato di forte autonomia e di un presidente eletto dalle minoranze. Con due grandi vantaggi: il modello è conosciuto dagli investitori internazionali che hanno più del 50% (fra i soci spiccano Blackrock e la People's Bank of China) e consente una gestione più snella attraverso un unico organo collegiale.
La rivoluzione nella governance è l'ultimo capitolo di una storia iniziata negli anni Ottanta: prima la fusione tra l'Ambroveneto e la Cariplo, più tardi battezzata Banca Intesa, poi l'acquisizione della Comit, la più prestigiosa tra le ex banche pubbliche italiane nonché la più importante banca laica del Paese, infine le nozze del gennaio 2007 fra Intesa e il Sanpaolo di Torino.
A fare da bussola all'istituto lungo tutto il percorso è sempre stato Giovanni Bazoli, classe 1932, che oggi saluterà la platea di soci nel suo ultimo giorno da presidente e nel primo da presidente emerito. Fino al 2019 e senza emolumenti, secondo lo statuto, il professore bresciano potrà «esprimere pareri e partecipare a riunioni, con funzione consultiva, su richiesta del presidente e/o del consigliere delegato», nonché collaborare «nella progettazione e nella realizzazione delle iniziative culturali del gruppo» con il presidente del cda che sarà nominato oggi (Gian Maria Gros Pietro è il candidato della lista delle Fondazioni).
L'architettura di potere cambia radicalmente per riflettere i diversi rapporti di forza: all'ultima assemblea di febbraio sull'approvazione del nuovo statuto e del cambio di governance ha partecipato il 62,7% del capitale, di cui il 39,1% in mano agli investitori istituzionali e il 23,6% allo storico moloch degli enti (e la cifra è destinata a scendere ulteriormente nei prossimi tre anni dopo l'accordo fra Tesoro e Acri che impone alle Fondazioni di alleggerire ulteriormente le proprie quote nelle banche).
Tanto che oggi sarà interessante vedere come voteranno i fondi perché alle liste di minoranza sono riservati cinque posti nel board e due (compresa la presidenza) nel comitato di controllo.
Se gli istituzionali diventassero «maggioranza» perderebbero dunque l'occasione di poter scegliere una carica importante, nonchè un contrappeso concreto, come appunto la presidenza del comitato di controllo.Di fatto, un organo chiave in quanto fra le sue funzioni c'è anche quella di riferire «tempestivamente» all'autorità di vigilanza e alla Consob i merito a eventuali irregolarità e violazioni.
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