Cronache

"Io, Bergoglio e la fake news del mio papato perduto"

Il cardinale Scola: «Dopo l'ultimo Conclave fui isolato, mi consideravano il grande sconfitto ma non era vero»

"Io, Bergoglio e la fake news del mio papato perduto"

nostro inviato a Rimini

Il rapporto con la famiglia, il legame con Don Giussani. L'amicizia con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Una carriera ecclesiastica che lo ha portato a guidare la diocesi di Milano. Angelo Scola, teologo, vescovo, cardinale, ripercorre la sua vita in una autobiografia - Ho scommesso sulla libertà in uscita oggi per Edizioni Solferino - scritta a quattro mani con il giornalista di Avvenire, Luigi Geninazzi.

Eminenza, qual è la genesi di questo libro?

«É una forma di ringraziamento alla Chiesa. Il gusto per la libertà fin dagli anni del liceo è stato il filo conduttore della mia vita, tumultuosa, fatta di cambiamenti e di particolari responsabilità. Ma la libertà è sempre piena di rischio. Il rischio le è connaturale».

Padre camionista e socialista, madre cattolica. Le idee dei suoi genitori generavano un conflitto in famiglia?

«No, noi uomini del popolo nati nella povertà non eravamo portati a grandi emozioni e discorsi. La sensibilità dei miei genitori è passata in me per osmosi, come deve fare la vera educazione. Io ho unito l'esperienza della fede di mia madre al senso profondo e potente della giustizia di mio padre. Dopo l'incontro con Don Giussani è iniziata la sintesi».

Se non avesse fatto il prete avrebbe fatto il politico?

«Può darsi».

Al Meeting c'è una mostra su Guareschi, cantore di una Italia divisa tra campanile e sezione di partito. Ha nostalgia di quegli anni?

«Sicuramente. Era dominante il fattore del costume che viene prima dell'ethos e della morale. C'era una comunanza nel vivere i costumi poi andata perduta. Ricordo la reazione negativa dentro il movimento operaio quando Togliatti si mise insieme a Nilde Jotti. Don Camillo e Peppone sono l'emblema di un mondo in cui alla fine ci si incontra. E questo è ciò di cui abbiamo più bisogno oggi».

La sua vocazione arriva a cavallo del 68.

«Il 68 l'ho vissuto sulla mia pelle partecipando anche alle manifestazioni di Boulevard Saint Michel. Il 68 ha avuto due assi portanti: la rivoluzione marxista-leninista e la rivoluzione sessuale. La rivoluzione sociale è fallita e ha dato vita alle tragedie che ben conosciamo, quella sessuale è riuscita e ha rappresentato per la Chiesa cattolica una sfida molto più potente di quella marxista».

Lei ha vissuto la diffidenza verso Don Giussani.

«Se avrò il tempo mi piacerebbe scrivere la storia del cattolicesimo milanese. Ricordo un episodio. Noi come Gioventù Studentesca avevamo la sede dove si trovava anche la Fuci. Scendendo le scale con Don Giussani ci imbattemmo in Don Basadonna e altri fucini. A un certo punto Don Giussani disse: É inutile continuare a discutere, tra voi e noi c'è una differenza di interpretazione culturale della fede».

La sua carriera ecclesiastica è legata a quattro città: Grosseto, Roma, Venezia, Milano.

«Grosseto è stata un'esperienza fantastica, un popolo straordinario con la coscienza della bellezza della propria terra. L'Università Lateranense mi ha fatto conoscere la Chiesa nel mondo. Venezia è una città dell'umanità, qui ho vissuto l'apertura al mondo ebraico e ortodosso. E poi Milano: il ritorno a casa. Fare l'arcivescovo di Milano è un mestieraccio, l'ho provato sulla mia pelle, ma Milano è anche luogo dove le radici della fede popolare sono vive e presenti».

Nella sua vita ci sono anche tre grandi figure: Don Giussani, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

«Il grande dono della mia vita sono stati questi incontri. Da loro ho sempre sentito un carico di attenzione per il mio bene e la mia crescita. Devo tutto a loro».

Nel libro racconta di essersi sentito isolato dopo il Conclave perché identificato come il grande sconfitto.

«Sì, purtroppo è stata diffusa una fake news. Alla partenza di questo Conclave, a differenza di quello in cui è stato eletto Ratzinger, non c'era alcun candidato».

Ma è vero che subito dopo la nomina Papa Francesco si diresse verso di lei per abbracciarla?

«Sì, questo è vero».

Lei oggi vive nella canonica di un piccolo paese lombardo, Imberido.

«Non faccio il parroco nel senso più completo del termine, ma celebro, confesso, ascolto, faccio ciò che la salute di un uomo di 77 anni anni mi consente di fare: una esperienza davvero bella».

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