«A sinistra si scannano sulle poltrone immaginarie, figurarsi con quelle vere». La cattiveria arriva da un parlamentare Pd di lungo corso, che al prossimo giro non ci sarà per una serie di tagliole incrociate che la direzione dei Democratici ha deciso ieri. Per capire chi si salverà e chi no bisognerà aspettare l'11 agosto. «L'unico sicuro di essere eletto è Enrico Letta, la premiership spetta al segretario Pd e lo sanno tutti», dice sorridendo al telefono. Già, ma a fare cosa? Davvero il premier? «Quel posto è per Mario Draghi, se dovesse finire in un pareggio come in fondo Letta non spera. Lui vuole vincere...», confessa al Giornale il deputato eletto al Sud.
È per questo che ieri tra agenzie, talk show e siti dei quotidiani, è impazzato il «surreale dibattito» sulla premiership. Con Letta che ha voluto subito mettere le cose in chiaro, per non turbare il premier dimissionario. «A Palazzo Chigi si va perché gli elettori ti spingono lì e il Parlamento ti vota. Io sarò il front runner del Partito democratico alle elezioni, se voi lo vorrete», e giù applausi dalla Direzione nazionale, «come quando Romano Prodi doveva fare il presidente della Repubblica e poi sappiamo come è andata a finire», maligna un altro esponente dem.
A «smascherare» il progetto del Pd, una coalizione unita solo formalmente, mascherata dietro la formula del «quadro di Van Gogh dai colori netti» è il Rosatellum. Letta è «costretto» perché solo così il Pd potrà raccogliere e redistribuire le briciole dei partititi sotto il 3% agli altri alleati (sulla scheda elettorale). Insomma, l'ennesima Cosa rossa, un misto tra gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria, il Triciclo caro a Gad Lerner e l'Unione allargata che si imbarcò sul tir giallo di Prodi, per poi schiantarsi. Sarà difficile per Letta vendere questa merce che puzza di muffa, ma il Pd vuole farlo casa per casa, elettore per elettore, è la minaccia di Letta, «anche a costo di «rompere i cogl... alla gente che sta sotto l'ombrellone», senza capire che questa strategia è controproducente, ma tant'è.
Ad aiutare Letta in questa mission impossible ci pensa Carlo Calenda, leader di Azione e ideatore del «Patto Repubblicano» insieme a +Europa, di fatto un figliol prodigo tornato sulla via del Nazareno col suo ambizioso carico: bullizzare Forza Italia («è ossessionato, non fa che parlare di noi, rincorrere le nostre proposte oltre che i nostri eletti», dice un parlamentare azzurro) per strappare i consensi necessari a vincere i collegi in bilico. «Dobbiamo fare un tavolo tecnico sui collegi col Pd mantenendo la nostra differenza, oppure andiamo da soli», minaccia. La sua è un'ambizione smisurata, che Calenda tradisce quando, a una domanda sul ruolo che Draghi avrà in campagna elettorale, si lascia scappare: «Presenteremo il nostro candidato premier ed il nostro programma. Oggi servirebbe un governo Draghi bis con una forte componente riformista.
Ma un Paese non si può fermare solo a una persona per cui se Draghi domani dicesse non sono disponibile, allora mi candiderei io», e già risatine dagli alleati in pectore come Angelo Bonelli, che ieri ha suggellato l'alleanza elettorale tra Europa Verde e Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni e che si candida a pontiere con i grillini per costruire l'ennesimo fronte democratico: «Calenda candidato premier? Questa modalità non fa bene e lo dico per lui, inizio a volergli bene e mi sento di dargli consigli fraterni: nosce te ipsum, conosci te stesso e i tuoi limiti, evita di fare sciocchezze».
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