Cristina Bassi
In quel di Taranto c'è una guerra che coinvolge politici, magistrati, forze dell'ordine. Nessun colpo è escluso. Dura da oltre 15 anni tra esposti anonimi, «corvi», intercettazioni più o meno lecite e registrazioni abusive, dossier avvelenati e testi pentiti. Oggi c'è un magistrato, il sostituto procuratore sospeso Matteo Di Giorgio, condannato a 15 anni in primo grado. Che sostiene il processo d'Appello e accusa: «I miei detrattori sono convinti di averla vinta, perché mi sono spinto a denunciare il pm di Potenza che mi ha perseguito e i carabinieri responsabili delle indagini. La condanna è arrivata dopo che 67 persone hanno testimoniato a mio favore, a mio sfavore solo le controparti. Un vero paradosso giudiziario rispetto al quale ho chiamato in causa la Procura di Catanzaro, competente per le indagini sull'operato dei magistrati potentini, e il ministero della Giustizia».
Un passo indietro. Nel 2000 Di Giorgio mette nel mirino l'amministrazione di Castellaneta, nel Tarantino, guidata dal sindaco e allora senatore Ds Rocco Vito Loreto. L'indagine che coinvolge pezzi grossi del Comune e lo stesso primo cittadino, avrebbe danneggiato politicamente Loreto. «Per vendetta - spiega Di Giorgio - Loreto fa partire, direttamente o tramite amici, una serie di esposti contro di me». Le vicende sono diverse: tra le altre, presunti lavori di ristrutturazione non pagati nella villa della moglie del magistrato. Presunte pressioni su un consigliere comunale con la minaccia di arrestargli i familiari. E quelle sul proprietario di un villaggio turistico perché non facesse più lavorare un «sodale» di Loreto. «Preciso - dice Di Giorgio - che tutte le presunte parti lese mi hanno scagionato». In un caso John Woodcock decide di non procedere contro il collega di Taranto, ma indaga per calunnia Loreto che finisce ai domiciliari e non viene rieletto né nella sua cittadina né a Roma. In altri casi, siamo nel 2009, il pm Laura Triassi procede e dispone molte intercettazioni, «anche in base a un esposto anonimo - sottolinea Di Giorgio -, in violazione di legge». Il risultato è appunto, nel 2014, la pesante condanna al pm sospeso per concussione e corruzione.
«Ho denunciato - continua il magistrato - una inaccettabile collusione tra organi inquirenti, carabinieri e testimoni dell'accusa. Dimostrata tra l'altro da gravi violazioni del segreto d'ufficio sulle indagini che mi riguardano». Nel frattempo Loreto viene condannato in primo grado per una presunta aggressione a Di Giorgio e al figlio, che era studente nel liceo di cui era preside. «Diversi testimoni - aggiunge la toga sospesa - hanno segnalato di aver ricevuto pressioni per accusarmi. Sono in possesso di registrazioni, fatte per suo conto da un coimputato, che lo dimostrano. Un teste chiave, Vito Pontassuglia, ha raccontato di aver ricevuto minacce dai carabinieri e dal pm perché dichiarasse il falso». Poi un amico di Loreto, Vito Putignano, si sarebbe ribellato al «sistema».
«Mi ha contattato - spiega Di Giorgio - dicendo di aver custodito esposti anonimi contro di me scritti dall'ex senatore, di averne depositati altri scritti sempre da Loreto e da lui stesso solo firmati e di essere stato tranquillizzato sul processo perché i magistrati erano dalla loro parte. La cricca è persino riuscita a far dichiarare inattendibili un procuratore capo e un aggiunto che hanno testimoniato a mio favore».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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