"Io medico, ho benedetto un moribondo"

Un segno di croce sulla fronte: "L'ultima mia carezza, l'ho fatto per i figli"

"Io medico, ho benedetto un moribondo"

Mario è uno di quelli che i giornali e tv definiscono «medici-eroi». Camici bianchi in prima linea sul fronte del caronavirus, nelle sale di rianimazione dove il rischio contagio è elevatissimo. Lavora nell'ospedale di Bergamo, dove la pandemia sta facendo strage. Più che altrove. Più di qualsiasi nefasta immaginazione. Convitamente cattolico («anche se non assiduamente praticante») Mario è stato colpito dalle parole intrise di misericordia di monsignor Francesco Beschi, e ha deciso di mettere in pratica i consigli del «suo» vescovo: benedire i malati che, nell'impossibilità di ricevere l'estrema unzione da un sacerdote, esprimono il desiderio di ricevere «un'ultima carezza». «Uno degli aspetti più drammatici di questa tragedia che sta travolgendo il mondo - racconta - è che le vittime del covid oltre che alla sofferenza fisica del morbo subiscono anche lo strazio umano e psicologico di un addio senza l'estremo conforto dei propri cari. Per ragioni di sicurezza, infatti, nessuno è ammesso nei reparti infettivi. Anche in punto di morte. Vietati anche i funerali. E così ci si lascia senza neppure salutarsi per l'ultima volta. Un'angoscia che lascia un senso di vuoto incolmabile». L'altroieri, nell'intervista al Giornale, il vescovo di Bergamo aveva spiegato il senso del suo appello a medici e infermieri cui ha deciso di «riconsegnare» due «doni» di cristiana pietà: «Non si tratta dell'unzione degli infermi, ma della benedizione che un padre e una madre possono, in virtù del Battesimo, donare ai loro figli. Quindi ho invitato anche i figli e i nipoti a benedire i loro anziani soprattutto se ammalati, in un momento di preghiera in famiglia e ho chiesto anche con delicatezza e con molto rispetto, che se vedessero questo desiderio, fossero anche gli infermieri e i medici a donare la benedizione del Signore ai malati negli ospedali, che sono isolati, dove non arrivano parenti e sacerdoti e rischiano spesso di morire da soli. È un dono della Chiesa che, congiuntamente al votum sacramenti, cioè la confessione di desiderio, ho riconsegnato nelle mani di chi si trova vicino ai malati più gravi». Ieri Mario ha «accompagnato» alla fine un anziano ricoverato da tre giorni. Le sue condizioni si sono irrimediabilmente aggravate nella notte, i suoi figli si sono raccomandati a me: «Stia vicino a nostro padre, gli porti la nostra carezza e quella del Signore». «E così ho fatto - spiega il medico -. Entrambi credenti, ci siamo raccolti in preghiera. Abbiamo recitato in silenzio un Padre Nostro e un'Ave Maria. Gli ho messo un rosario nella mano destra e gli ho tenuto stretta la mano sinistra.

Ci siamo guardati. Lui mi ha sorriso. O almeno mi piace immaginare che lo abbia fatto. Poi gli ho fatto un segno della croce sulla fronte. E sono andato via. È stata la notte più brutta, ma anche più bella, della mia vita».

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