Quando, su certa tv, va in scena (e va in scena ogni giorno) il «teatrino» del coronavirus, dovremmo sempre pensare, almeno per un attimo, a questa straziante lettera-denuncia firmata «Vostro nonno». Un anziano che potrebbe, davvero, essere il nonno di tutti noi. Contagiato dal coronavirus e chiuso in una casa di risposo assistita (Rsa) di una qualsiasi parte d'Italia. Quando «nostro» nonno capisce che la fine sta arrivando, decide di mettere nero su bianco la sua ultima testimonianza. Un atto di accusa che è pure un estremo gesto di amore. Una lettera pubblicata dal quotidiano digitale Interris, portatore della «voce degli ultimi». «Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti», è l'inizio del testamento morale consegnato, poco prima di morire, nelle mani di una religiosa della casa di riposo. I familiari, cui il foglio è stato consegnato, leggono e piangono: «Questo contagio ci porterà al patibolo ma io già mi ci sentivo dalle grida e modi sgarbati che ormai dovrò sopportare ancora per poco. La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa. Prima del coronavirus c'è un'altra cosa ancora più grave che uccide: l'assenza del più minimo rispetto per l'altro, l'incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinché si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi». Quanti anziani, come lui, sono stati «sacrificati» nelle Rsa in nome di una criminale incompetenza: «Dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una infermiera. È l'unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po' di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella prigione». E poi: «Qui sembra che non manchi niente, ma non è così.
Manca la cosa più importante: la vostra carezza, il sentirmi chiedere come stai nonno?, gli abbracci e i tanti baci». Troppo tardi, ormai. Il «nostro» nonno ci ha lasciati per sempre. Pensiamoci quando stasera, in tv, assisteremo all'ennesimo «show» sul coronavirus.
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