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"Io, primo cieco al governo: la parola invalido via dalle leggi"

"Io, primo cieco al governo: la parola invalido via dalle leggi"

È stata Vanda Dignani Grimaldi, insegnante, classe 1930, la prima parlamentare italiana cieca: a Montecitorio con il Pci tra il 1983 e il 1992. Poi è arrivato Raffaele Farigu, Psi, 1987- 1994, anche lui deputato, e forse è anche per questo che «alla Camera ci sono meno barriere architettoniche che al Senato». Lo racconta oggi il primo membro di governo non vedente («ma meglio dire cieco») Vincenzo Zoccano, sottosegretario Cinquestelle a Famiglia e Disabilità. Per lui rampe e sostegni adeguati sono un primo dato, sia pur tangibile, di come affrontare la questione: «Manca la cultura. Le barriere architettoniche si abbattono se prima si abbattono le barriere mentali».

Lui ha tirato giù parecchi paletti. Nel 2001, ai tempi di Baudo, ha partecipato alle selezioni di Sanremo con la canzone «Battiti». Direttore d'orchestra, allievo di Ennio Morricone, è arrivato venticinquesimo e ne entravano ventiquattro. Contro la sfiga ha dimostrato una discreta resilienza e ieri a Un giorno di pecora su RadioUno ci rideva su e dovendo scegliere tra Battisti e Vasco ha intonato «Voglio una vita che se ne frega».

Zoccano è autonomo e svolge da solo la gran parte delle attività da sottosegretario col tablet, ma ha anche un assistente sempre accanto a raccontargli ciò che lui non può vedere. «Quando alla Camera ci sono gli atti cartacei, posso mica sempre chiedere a un collega: per favore, me li leggi?». Il discorso non fa una piega, ma lui è impegnato a mettere nero su bianco i diritti: «La cosa a cui tengo di più è un Codice unico della disabilità molto serio e puntuale. E che rispetti una questione non semantica ma culturale: via le parole handicappato, invalido, il termine corretto è persona con disabilità. La legge 104/92 era avanzata per i suoi tempi ma siamo praticamente nel 2020. Dobbiamo guardare alle abilità residue».

Dice di andare d'accordo con il suo ministro, Lorenzo Fontana. Linguaggi simili ma non identici: «L'ordinamento giuridico italiano riconosce le unioni civili tra persone dello stesso sesso». Ma di altro non vuole sentir parlare, nemmeno del ddl Pillon sulla bigenitorialità, che non lo convince: «Sono sposato in chiesa, vengo da una famiglia tradizionale e scimmiottare la famiglia non è giusto, è una forzatura dire che un'unione civile è una famiglia». Geppi Cucciari si agita ma lui non cede.

Al massimo ammette «famiglie d'archi, ottoni e legni».

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