Milano - È lui stesso a dare ancora una volta una scossa al partito. A parlare di una «rifondazione di Forza Italia», magari pensando all'intero centrodestra che proprio in questi giorni comincia a rivedere la possibilità di riprendersi il timone del Paese. «I miei avvocati mi sconsigliano, ma il leader si è scocciato». E allora «ho detto: io rischio», perché «dobbiamo tornare in campo per dire la nostra verità a tutti gli italiani».
C'è ancora una piazza di Milano (e questa volta è san Fedele) nel nuovo ritorno di Silvio Berlusconi sul proscenio di una politica che dopo un «semestre bianco» concesso al nuovo governo di Matteo Renzi, ha ricominciato a correre forte. Le incombenti (e inusuali) dimissioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il crollo verticale nei sondaggi sulla fiducia nel premier e un Partito democratico che dopo solo pochi mesi al timone del Paese è riuscito a far naufragio perfino alle elezioni regionali dell'un tempo bulgara Emilia Romagna, erano tutti elementi in grado di ridisegnare il panorama politico. Ma ad aggiungersi adesso c'è anche l'implosione del Movimento 5 stelle, con un Beppe Grillo mai così all'angolo e pronto a gettare la spugna, trasformando la sua leadership autoritaria in un direttorio affidato a cinque fedelissimi. E se si pensa anche all'astensionismo record che ora rischia di diventare endemico, è chiaro quanto sia magnum il mare in cui un politico d'esperienza (e di fiuto) possa avventurarsi.
E così Berlusconi ricompare. Ancora una volta quando sono in troppi a darlo per declinante. E ancora una volta in una piazza, a spiegare come quegli accordi fatti nei Palazzi siano necessari, atti di «responsabilità», ma come poi tutto passi da «una politica sociale fatta tra la gente e non da quella dei voti di scambio e delle preferenze». Parole che Berlusconi non fa fatica a ritrovare nel Dna di un partito coma Fi, nato proprio per infrangere gli schemi del vecchio teatrino. Con tutte le conseguenze che si son viste. «Appena do un segno di vita dopo averne messi sotto dieci e l'undicesimo è Grillo - si lascia andare Berlusconi dal palco - subito arriva l'uso politico...». E si frena, interrotto dall'applauso dei suoi sostenitori, prima di attaccare ancora una volta i magistrati. Anche se cominciando il suo discorso non si era certo trattenuto, dicendo che «ormai l'Italia non è più un Paese democratico», perché «dal '92 ha già visto quattro colpi di Stato» a cominciare da Mani pulite. E «se la democrazia è il governo del popolo, questo di Renzi è il terzo governo che il popolo non ha eletto». Non solo astratte ricostruzioni storiche se è vero, come sottolinea, che oggi gli italiani proprio per questo sono schiacciati «dalla oppressione burocratica, dalla oppressione fiscale e dalla oppressione giudiziaria». Un j'accuse ai giudici a cui l'ex premier non si sottrae, nonostante l'avvertimento del tribunale di Sorveglianza gli abbia imposto da tempo di non esprimersi più sui giudici, pena il ritiro dell'affidamento ai servizi sociali. E la galera.
Una «pena» che però nessun magistrato potrà spingere oltre il prossimo febbraio, quando Berlusconi tornerà ad avere le mani libere, non essendo più limitato negli spostamenti e nella possibilità di tornare nelle piazze. Proprio quando entreranno nel vivo campagne elettorali importanti come quella per il Veneto, dove il centrodestra può tornare a vincere, ma anche in Campania e in Puglia dove l'esperienza delle sinistre di Nichi Vendola si sta sgretolando. Magari in piena corsa per il Quirinale, quando Berlusconi reciterà ancora un ruolo da protagonista.
Oggi in mano ha i sondaggi appena commissionati, da cui risulta che gli elettori di Fi non sono passati ad altri partiti, ma si sono astenuti. E che questo è successo «perché in campo non c'era il leader». Ecco perché quello di ieri in piazza san Fedele non è stato solo il «No Tax Day» di Forza Italia.
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