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"Io, vittima di tentato femminicidio, ripudiata dalla mia comunità"

Pinky, ragazza di origini indiane, vittima di un tentato femminicidio, racconta la sua storia a ilGiornale.it

"Io, vittima di tentato femminicidio, ripudiata dalla mia comunità"

"Finché alzava le mani su di me potevo anche sopportarlo perché volevo tenere la famiglia unita a tutti i costi, ma ho deciso di denunciarlo quando ha iniziato a picchiare i nostri figli". A parlare è Pinky, una ragazza di origini indiane, vittima di un tentato femminicidio che ha raccontato la sua storia a ilGiornale.it a margine dell'iniziativa La forza delle donne tenutasi oggi alla Camera e moderata dalla deputata forzista Giusy Versace, prima firmataria di una proposta di legge sul contrasto alla violenza sulle donne.

"Vivo in in Italia da quando avevo sei anni. Dopo essermi diplomata, i miei genitori hanno combinato un matrimonio con un ragazzo indiano della mia stessa casta che si è trasferito in Italia dopo le nozze", ci racconta Pinky ancora scossa dalla sua vicenda. "Il primo anno è stato molto bello perché entrambi eravamo molto innamorati, ma i problemi sono sorti quando sono restata incinta. Per la tradizione maschilista indiana, infatti, il primogenito deve essere il tanto voluto erede maschio, ma io partorisco una bambina e mi ritrovo tutta la famiglia di lui contro", rivela la ragazza di origini indiane. I parenti di mio marito, dopo aver saputo che era una femmina, iniziano a maltrattarla e la situazione non cambia neppure dopo un anno e mezzo, quando arriva il tanto atteso figlio maschio. "Il rapporto tra me e mio marito non è più come prima. Lui, oltre ad avere seri problemi con l’alcool, inizia a fare uso di sostanze stupefacenti e, nel luglio 2015, per la prima volta, picchia i bambini", ricorda Pinky che, a questo punto, trova la forza di denunciarlo.

Ma è in quel momento che avviene quella che sembra una svolta. "I miei zii si riuniscono e, dato che per noi sik il turbante è segno di massimo onore, lui lo getta a terra e mi chiede di perdonarlo e di tornare insieme. Io ritorno e, dopo l’ennesima lite, mi dà fuoco davanti ai figli. A salvarmi sono i miei vicini di casa che dal balcone vedono tutta la scena", dice la ragazza che oggi è divenuta protagonista, suo malgrado, del docu-film “Matrimoni forzati”, presentato quest'anno al Festival di Venezia e divenuto, poi, anche un libro dedicato a Saman Abbas, la ragazza di origini pakistane uccisa a Novellara. "Sono stata in coma per un mese e, al mio risveglio, i miei genitori mi hanno dato pieno supporto ospitandomi in casa nonostante la comunità indiana fosse contro di me.

Poi ho conosciuto Jo Squillo, Giusy Versace e Francesca Carollo, rappresentanti dell'associazione Walls of Dolls - il muro delle bambole contro il femminicidio, e da lì la mia vita è totalmente cambiata", dichiara con un notevole sospiro di sollievo.

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