Se i rapporti dei carabinieri fossero finiti sul tavolo di un magistrato diverso da Fedele La Terza, pubblico ministero presso la Procura di Firenze, oggi probabilmente Irene Focardi, ex modella, donna tormentata e fragile, sarebbe ancora viva. Invece venne ammazzata in modo bestiale dal suo ex compagno, Davide Di Martino, l'uomo che i carabinieri avevano denunciato più volte con i rapporti arrivati sul tavolo del dottor La Terza. Il suo assassino nel giugno scorso è stato condannato all'ergastolo. Il pm che lo lasciò a piede libero è finito sotto procedimento disciplinare, e ora la Cassazione ha confermato la sanzione inflittagli dal Consiglio superiore della magistratura. Nessuna delle due sentenze riporterà in vita Irene. E la lettura delle carte del procedimento disciplinare contro La Terza racconta non solo le negligenze del pm ma anche le disfunzioni della procura di Firenze, un ufficio dove i pm non parlano tra di loro, e i capi che dovrebbero controllarli e coordinarli non lo fanno.
È il 29 marzo 2015 quando da un fosso scolmatore vicino alle Piagge - quartiere difficile di Firenze - affiora un sacco della spazzatura. Dentro c'è il corpo di una donna, in condizioni pietose. Bastano due giorni per dare un nome alla sventurata: è Irene Focardi, 43 anni, che era sparita di casa il 3 febbraio. E nello stesso istante in cui viene dato un nome al corpo, i carabinieri vanno a bussare a casa di Davide Di Martino: l'uomo che la perseguitava e da cui non riusciva a staccarsi del tutto; e che non a caso, dopo la scomparsa di Irene e prima del suo ritrovamento, era stato iscritto nel registro degli indagati per sequestro di persona. Il giorno dopo, Di Martino, che abita a due passi dal fosso scolmatore, viene arrestato: l'imputazione è cambiata, lo accusano di omicidio volontario. L'autopsia dice che alla donna è stato sfondato il cranio.
Ma assieme alla storia di un femminicidio classico e feroce, l'inchiesta sul delitto porta a galla inevitabilmente le inefficienze che hanno costellato i mesi precedenti, quando l'escalation di violenze di Di Martino aveva costretto più volte Irene a sporgere denuncia. È lo stesso giudice che ordina l'arresto dell'uomo a ricordare la sequenza impressionante dei precedenti. Il 6 marzo l'uomo viene arrestato per violenza a pubblico ufficiale e maltrattamenti, dopo aver spedito Irene in ospedale a forza di botte: lo condannano a tre anni e nove mesi di carcere, ma il giorno dopo la condanna, il 6 agosto, è già a casa, agli arresti domiciliari, a breve distanza dalla abitazione della donna, e riprende a perseguitarla e picchiarla. Il 9 settembre le causa un trauma cranico; il 7 novembre altre botte, trenta giorni di prognosi; il 13 dicembre le spacca naso e mandibola. Per sfogare il suo odio, Di Martino deve ovviamente uscire di casa, e viene denunciato per evasione: ma nessuno si preoccupa di rispedirlo in carcere.
La vicenda è tanto clamorosa che il Csm deve intervenire per forza: e il 16 gennaio scorso condanna La Terza a due mesi di perdita di anzianità per essere venuto meno «ai doveri di diligenza, laboriosità ed equilibrio». Assegnatario dell'inchiesta scaturita dalla aggressione del 7 settembre e dei rapporti sui pestaggi successivi, il pm si era limitato a chiudere immediatamente le indagini «omettendo qualsiasi attività investigativa e qualsiasi prudenziale iniziativa circa l'aggravamento della misura cautelare cui era sottoposto il Di Martino», evitando cioè di rispedirlo in cella nonostante l'allarme lanciato dai carabinieri nei loro rapporti, e lasciando «col suo atteggiamento trascurato e rinunciatario» la Focardi «alla mercé del convivente».
Davanti al Csm, e poi nel ricorso in Cassazione, La Terza ha cercato di difendersi sostenendo che per il reato di maltrattamenti non è possibile l'ordine di cattura; ed è vero che il persecutore di Irene era evaso dagli arresti domiciliari, e bastava questo per rispedirlo in gabbia: «Ma l'indagine per l'evasione - dice La Terza - la faceva un altro pm». Certo, sarebbe bastato che La Terza avvisasse il collega della gravità della situazione, e Di Martino sarebbe stato messo in condizione di non nuocere.
Ma il pm sotto accusa ha spiegato di non avere «alcun obbligo di controllo e sorveglianza sull'operato degli altri colleghi» e che «nessun protocollo interno all'ufficio imponeva regole da seguire». E siccome non c'era un protocollo, Irene - o quel che ne è rimasto - oggi è sottoterra.
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