Tra stelle e lupi, affacciati su un altipiano immenso, in un silenzio completo, cinque irriducibili non lasciano la postazione. Qui la terra trema sempre perché è l'incrocio di tre faglie. Ma non arriva nessuno. Non ci sono avamposti di carabinieri o polizia, i vigili del fuoco hanno lasciato le chiavi di un container sei metri per tre, e qui questa mattina si sono svegliati in tre, i superstiti di un gruppo di dodici che il 26 ottobre hanno diviso 18 metri, un metro e mezzo a testa. Un grado la notte, il confine del nulla. Castelluccio di Norcia, il paese del turismo, delle lenticchie, dei grandi concerti di Vito Ughi nella piana, dei workshop di fotografia, dei fiori dai mille colori, ora è un luogo da Robinson, dove una piccola comunità di terremotati sta diventando una leggenda. Per l'ostinazione e il paradosso. Tre in un container abbandonato e una coppia, i più invincibili del paese, che resiste in casa.
«I bagni, dopo il 24 agosto, ce li portarono dopo sei giorni». E quindi ognuno si arrangiò in modo selvatico. «Per mangiare non abbiamo avuto una tenda, mangiavamo all'aperto», in serate dove le raffiche di vento anche a settembre sono paurose. «Poi è arrivata una tenda ma una notte è volata via».
Tutte le scosse qui si sentono fortissime perché Arquata del Tronto e Visso, l'aree di epicentro dei terremoti del 24 agosto e del 26 ottobre, sono perfettamente equidistanti. Quando si sveglia la faglia di Norcia, invece, l'epicentro è proprio Castelluccio. Infine è stato comunicato che qui non arriveranno mai le case di legno: «Ci hanno detto che qui da noi non si possono montare». Sembra un percorso di sopravvivenza quello dei reduci della Pian Grande. La notte del secondo grande terremoto, cinque giorni fa, quel container che i vigili del fuoco avevano lasciato in piazza abbandonato da settimane è stato una grazia nel temporale. Di tutti i luoghi colpiti dal sisma di fine estate e da quello di cinque giorni fa questo è il più buio, il più freddo, il più isolato, il più abbandonato soprattutto, ma con il cielo più stellato, si dice, del centro Italia, perché non coi sono tracce umane nel raggio di chilometri. Forse per questo gli irriducibili non se ne vogliono andare. E non ci sono nemmeno tracce di istituzioni. Nessun controllo in zona rossa da cui si entra e si esce in libertà. Solo un nastro la delimita, ma spesso si strappa. Si decide tutto in autonomia. Il portavoce dei castellani è Augusto Coccia, che qualche inverno a Castelluccio rimane a vivere da solo con la moglie, anche quando tutti se ne vanno perché in questo altopiano di luna in terra il ghiaccio rallenta la vita. «Dovremmo stare in albergo, la struttura a cui siamo stati assegnati per l'accoglienza, ma preferiamo dormire nel container. I pompieri ci hanno dato le chiavi e siamo responsabili della loro attrezzatura». Al centro del modulo ci sono infatti un computer e altre apparecchiature di cui la comunità dei Robinson di Castelluccio è stata nominata custode.
Polizia e pompieri sono venuti la sera dell'ultimo terremoto, poi di nuovo il vuoto ed è tornata la solitudine: «La sera ceniamo in otto, al ristorante dell'albergo. Poi i gestori vanno via».Dopo cena, i tre tornano nel container, uno in una casetta di legno per pastori poco sotto, un altro in roulotte e la coppia che non molla, con un nipote, a casa.
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