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Isis, la nostra inerzia e l'ottusità di Obama

L'idea di combattere, e sconfiggere, militarmente una ideologia poteva venire in mente solo a un'anima culturalmente semplice, ma politicamente tormentata come Obama

Isis, la nostra inerzia e l'ottusità di Obama

L'idea (tutta americana) di combattere, e sconfiggere, militarmente l'islamismo fondamentalista sembra francamente sbagliata perché priva di logica teoretica - là dove mostra di ignorare che il fondamentalismo islamico è una teocrazia, la forma di dominio della religione sulla politica che contraddistinse il nostro Medio Evo - e di intelligenza politica, là dove, malgrado le dichiarazioni in proposito del Califfato, esso non è configurabile come uno Stato in conflittuale competizione con gli Stati dell'Occidente democratico-liberale, bensì è, anche se non soprattutto, al proprio stesso interno, una ideologia contraria alla secolarizzazione, cioè alla distinzione-separazione della politica dalla religione attraverso la quale una parte del mondo, nel XVI secolo, entrò, con l'Illuminismo, nella Modernità.

L'idea di combattere, e sconfiggere, militarmente una ideologia poteva venire in mente solo a un'anima culturalmente semplice, ma politicamente tormentata, come il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, psicologicamente in bilico fra le proprie origini musulmane, da parte genitoriale, e la propria cultura, laica, di avvocato d'affari; fra idealismo armato, eredità della Guerra fredda con l'Unione Sovietica, e realismo politico, prodotto dalla sconfitta dell'Urss. Non è neppure casuale, d'altra parte, che le maggiori riserve, rispetto all'intervento, le abbia manifestate, fra quelli chiamati a raccolta, l'Italia, il Paese più machiavellico secondo distinzione-separazione fra religione e politica. La tradizione internazionalista insegna che le ideologie sono spesso l'alibi di concreti interessi materiali, ed è difficile inoltre intravvedere quali interessi avrebbe l'Italia a far la guerra al Califfato dopo aver sperimentato i costi energetici di quella alla Libia, improvvidamente iniziata al seguito della Francia di Sarkozy interessata a succederci nella gara all'acquisto di petrolio locale; per non parlare di quali profitti potremmo trarre dalle sanzioni alla Russia sulla questione ucraina, controfirmate, non meno improvvidamente, al seguito di Obama.

Sull'islamismo e sulla questione specifica dell'immigrazione, il nostro governo ha mostrato finora di non avere un'idea precisa e, tanto meno, di saper elaborare una qualche strategia. Non ha tutti i torti a diffidare di una soluzione militare; ma ne ha parecchi nel non sapere come cavarsela di fronte alla minaccia di invaderci con migliaia di immigrati fra i quali non sarebbero esclusi potenziali terroristi. Che, dopo ogni arrivo, oltre tutto, distribuiamo irresponsabilmente sul territorio nazionale, aumentando il pericolo di attentati. Non si tratterebbe, ovviamente, di lasciar annegare in mare migliaia di disgraziati usati come bomba politica. Almeno tentare di individuare una soluzione che soddisfi, da un lato, la loro domanda di asilo e le nostre esigenze di sicurezza interna, bisognerebbe cercare di trovarla. È facile concludere che non sarebbe facile e, in ogni caso, sempre e comunque una soluzione esposta a critiche da destra e da sinistra. Ma ciò non giustifica la nostra inerzia.

piero.

ostellino@ilgiornale.it

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