Politica estera

Israele, presidente in fuga dallo stadio. Caos degli ultras nazionalisti del Beitar

Scatenati i sostenitori della squadra dell'estrema destra. Sospesa la partita per gli scontri. Ma il trofeo viene assegnato lo stesso

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Chiamate l'ambulanza! Anzi, no: la polizia! Meglio un esorcista! Chi ha assistito alla finale di Coppa di Israele dagli spalti dello stadio di Haifa, martedì sera, non credeva ai suoi occhi. Doveva essere una festa: sportiva, certo. Ma gli antagonismi da spogliatoio hanno inspessito talmente le rivalità (anche politiche) tra le tifoserie che il presidente della Federcalcio israeliana, Moshe Zuarets, si è visto costretto ad alzare bandiera bianca e a rimandare la consegna della coppa. E, soprattutto, a organizzare in fretta e furia l'esfiltrazione dei vip in tribuna.

Anche se la partita alla fine è stata vinta per 3-0 dal Beitar Gerusalemme sul Maccabi Netanya - due squadre entrambe israeliane - la finalissima è stata macchiata da tali scene surreali che pure il presidente di Israele Isaac Herzog ha dovuto lasciare lo stadio con la scorta.

Ma cosa è successo, sul «pratone» di Haifa? I famigerati ultras del Beitar, il club fondato negli anni '20 dall'omonimo movimento che sposava una versione massimalista del sionismo, si sono (ancora) resi protagonisti di violenze: prima i cori razzisti, poi l'invasione del campo dello stadio Sammy Ofer; nel mentre, alcuni prendevano d'assalto tribune e podio di premiazione. Una bolgia. C'erano già state ripetute sospensioni per il lancio di fumogeni, riprese a cronometro fermo, fino alla baraonda scoppiata al terzo gol, in pieno recupero, quando un gruppetto di tifosi è entrato sul terreno di gioco. Più che un'invasione, un assalto. Una porta semi-distrutta dalle fiamme (nello stadio dove gioca anche la Nazionale). Reti tagliate.

E mentre partivano petardi indirizzati al rettangolo sono sparite anche alcune medaglie della premiazione; rubate da qualche «tifoso» tra i migliaia in campo. L'arbitro aveva già chiuso la gara. Giocatori riparati negli spogliatoi. E anziché onorare il messaggio di fratellanza rappresentato dalla statua della Pace universale a pochi metri dall'ingresso allo stadio inaugurato nel 2014 si è passati subito alla politica, alla rivendicazione della vittoria e all'inevitabile trattativa tra Federcalcio e società, nonostante il regolamento prevedesse la sconfitta del club per gli ultras fuori controllo.

Dopo le minacce di squalifica dei vincitori da parte della Federazione, si è deciso per una valutazione step by step. Prima, la premiazione annullata in attesa di sviluppi: la polizia ha fermato 18 tifosi. E il club ha preso le distanze dagli ultras ferocemente anti-arabi. Ma il proprietario del Beitar, Barak Abramov, minacciava nel frattempo di boicottare il campionato in caso di revoca del trofeo. Il patron della Federcalcio, pur «imbarazzato», ha quindi annunciato che la partita sarebbe stata ripercorsa frame per frame per «capire bene» cosa fosse successo. Infine? Ha optato per premiare la squadra. In differita, a 24 ore di distanza. E col fantasma della vicinanza degli ultras alla maggioranza di estrema destra che sostiene il governo Netanyahu.

Herzog aveva espresso «sconcerto» per i disordini. Ma alla fine la Coppa è stata consegnata dal presidente in persona, al Beitar, nonostante l'assalto. «Questa cerimonia si doveva svolgere in un'atmosfera ben più gioiosa», ha detto Herzog amaramente. «È stato un duro colpo alla cultura dello sport e ancor di più all'onore del Paese e della società israeliana». I supporter del Beitar, noti per essere infiltrati da ultranazionalisti che avevano contestato pure l'acquisto di calciatori musulmani nel 2012, quando il club ingaggiò due ceceni, hanno avuto ciò che volevano: la coppa dopo 14 anni.

E «La Familià», come si fanno chiamare, si è perfino vantata sui social.

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