Se il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, avesse evitato commenti e precisazioni, le notizie filtrate ieri da Bruxelles non avrebbero avuto conseguenze particolari. Il premier, invece, giovedì scorso durante il question time aveva ribadito che nell'Eurogruppo di dicembre non vi è stata «alcuna finalizzazione del pacchetto di riforme del Mes (il Fondo salva-Stati), un indubbio successo dell'Italia». Ieri, invece, dalle informative sullo stato dei lavori per il vertice dei ministri delle Finanze dell'area euro in programma il 17 febbraio è emerso uno scenario opposto. «Il trattato è chiuso» e la firma «è prevista in aprile», ha spiegato un alto funzionario europeo aggiungendo che «la firma formale è prevista in aprile» e potrebbe essere apposta dagli ambasciatori presso l'Ue e non dai ministri o dai capi di Stato e di governo.
In particolare, restano da esaminare alcune questioni tecniche come «l'accordo di prestito sul backstop tra Mes e Board di risoluzione unico». Resta sul tavolo, pertanto, la modalità di accesso al finanziamento comunitario nel caso in cui i fondi nazionali non avessero disponibilità necessarie per i salvataggi bancari. Oltre a questo argomento, ha proseguito la fonte, rimane il tema delle «clausole di azione collettiva single limbs e sull'importanza o meno di averle annesse al trattato». In questo caso si fa riferimento alla procedura facilitata con un'unica assemblea degli obbligazionisti per ristrutturare parzialmente il debito sovrano di uno Stato. «Ci sarà una risposta chiara da parte delle autorità francese e ne riparleremo a inizio marzo», ha concluso la fonte. Insomma, le priorità italiane in sede europea non vengono riconosciute come tali e le obiezioni sollevate dalla Francia hanno la precedenza. Il ministero dell'Economia ha così successivamente dovuto precisare che la questione Mes non è nell'agenda dell'Eurogruppo di febbraio e che, al momento, «la firma del trattato non è stata calendarizzata», mentre Conte ha miniminizzato: «Non c'è nessuna novità».
I dossier ancora aperti, tuttavia, non accolgono nessuna delle principali istanze italiane. In particolare, al momento, non vi è nessuna chiarezza circa l'attivazione di automatismi tra richieste di prestiti al Fondo e ristrutturazione del debito sovrano. Anche se tali valutazioni restano riservate all'interlocuzione «politica» tra Commissione Ue e management del Mes, è chiaro che un Paese a elevato debito come l'Italia non avrebbe nessuna convenienza ad attingere al Fondo. L'organismo diretto dal tedesco Klaus Regling, per il quale è prevista una dotazione massima di 700 miliardi di euro, sarebbe comunque inadeguato ad affrontare la crisi di un paese con 2.400 miliardi di debito pubblico.
«Sulle grandi riforme economiche europee l'Italia sta perdendo tutte le partite, non sta toccando palla», ha scritto il responsabile economico di Forza Italia, Renato Brunetta, in un editoriale su Mf. La polemica è connessa alla sostanziale stasi sul fronte delle altre trattative: l'esclusione degli investimenti green dal Patto di stabilità e l'Unione bancaria il cui compimento è previsto nel 2024, dunque a media distanza dalla riforma del Mes che potrebbe danneggiare il nostro già periclitante sistema bancario, soprattutto se si dovesse modificare il trattamento dei titoli di Stato nei portafogli degli istituti.
Non tutto è perduto, però, per il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri.
La produzione industriale tedesca a dicembre ha subito un calo tendenziale del 6,8% (-3,5% nell'intero 2019). Ecco perché nel prossimo Eurogruppo si parlerà di politiche di bilancio espansive. Non è scontato, tuttavia, che all'Italia sia concesso altro deficit.
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