RomaIl pagamento in tempi europei (quindi entro un mese, al massimo due, come prevede la normativa Ue) resta un miraggio, soprattutto se il «cliente» sono le istituzioni pubbliche. Enti locali e amministrazioni centrali continuano a resistere quando si tratta di saldare le fatture con fornitori di beni e servizi. Tanto che la Pubblica amministrazione - secondo una stima della Cgia di Mestre - deve ancora circa 60 miliardi di euro alle imprese italiane.
Gli artigiani stilano una classifica dei cattivi pagatori, cioè degli enti pubblici che pagano oltre il limite di legge dei 60 giorni. I Comuni sono i peggiori, con il record negativo di Catanzaro, dove si registra una media di 144 giorni di ritardo. Ma colpisce trovare nell'elenco anche il ministero che dovrebbe attuare le norme, europee e italiane, sui pagamenti. Il ministero dell'Economia paga in media 82 giorni oltre il termine pattuito.
Dalle tabelle emergono ritardi rilevanti, ad esempio, nei pagamenti delle spese postali e quelle del facchinaggio, così come nel noleggio arredi e apparecchiature.
Sorprendente anche il dato dello Sviluppo economico, dicastero che lavora a stretto contatto con le imprese ma che paga le aziende in media 38 giorni oltre il limite, e quello della Presidenza del Consiglio dei ministri, quasi un mese di ritardo. Sempre tra le amministrazioni centrali, i ritardi maggiori riguardano il Cnr (33 giorni), poi l'Ice (istituto per il commercio con l'estero) con 29,5 giorni di ritardo e anche l'Inps con 24,5.
Tra le Regioni, male il Piemonte, con il saldo delle fatture dopo 38 giorni. Seguono il Lazio (oltre 19 giorni) e il Veneto con 18,5 giorni. Bene il Friuli Venezia Giulia che paga in anticipo di 11 giorni.
Anche se le amministrazioni pubbliche sono alle prese con i risparmi - protesta il segretario generale della Cgia Giuseppe Bortolussi - «non è giustificabile che una buona parte dei soggetti monitorati, a distanza di quasi due mesi e mezzo dalla scadenza prevista per legge, non abbia ancora pubblicato sul proprio sito internet alcun dato. Ancora una volta, quando la Pubblica amministrazione è obbligata a rendere conto ai cittadini-contribuenti del proprio operato, la trasparenza, spesso invocata a parole dai politici o dai dirigenti pubblici, stenta ad affermarsi nei fatti». Difficile fare impresa, come dimostrano altri dati, questa volta di Confartigianato, su Imu e Tasi applicati agli immobili strumentali. Tassati «come se fossero case o beni di lusso», con tasse in aumento: +18,4% dal 2012 al 2014, che corrispondono a 138 euro in più per ogni imprenditore. Nello stesso periodo quelle sulle case principali sono calate di dieci punti. Come dire, quello che è stato risparmiato ai contribuenti sulla prima casa, lo hanno pagato le imprese.
Anche in questo caso c'è una classifica, curata da ITWorking. Al primo posto tra le regioni che fanno cassa con chi dovrebbe creare ricchezza e occupazione, c'è l'Umbria dove tra Imu e Tasi, gli imprenditori pagano un'aliquota del 10,34 per mille. In Val d'Aosta, regione più virtuosa, l'aliquota è dell'8,16 per mille.
Stessa percentuale e primato per il Comune di Aosta. Dall'altro capo della classifica, Trieste, con il 10,99 per mille, seguita da Lucca (10,57 per mille) e poi di nuovo l'Umbria con Terni dove si applica una aliquota del 10,54 per mille.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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