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Italicum, giravolta dei grillini «Cambiamolo solo al Senato»

Ora l'odiata legge elettorale diventa indispensabile Ed è già derby Di Battista-Di Maio sulla premiership

Cinque Stelle, cinque giorni, due anime e una sola «parmigiana, perché come la cucina mamma non la cucina nessuno». Si danno i numeri, con tanta euforia. Però qualcosa, per ora, non funziona nella ricetta del Movimento. «Si deve andare a votare subito, alla Camera con l'Italicum e per il Senato si rifà la legge elettorale. Pausa: «In cinque giorni». Il primo a farsi sentire è Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, candidato in decadenza per un ruolo da premier, il volto troppo teso per uno che ha appena incassato una vittoria storica. Più sorridente il suo socio Alessandro Di Battista, che probabilmente sta festeggiando anche la fine del suo tour in treno, felice già alla vigilia, perché finalmente è tornato a casa e ha mangiato «la parmigiana di mamma, la più buona del mondo». Stessa linea, si rifaranno la legge e l'Italia in cinque giorni, i tempi li ha già dettati Beppe Grillo, in un post su Facebook che nella notte di domenica gioca d'anticipo e brucia pure le dimissioni del premier Renzi. Al voto subito, con una legge (l'Italicum) che al Movimento da sempre piace come un dito nell'occhio: tutto troppo paradossale, anche per chi ha usato il paradosso come arma vincente. Infatti non è questo che dicono senza un microfono davanti alla bocca i «pentastellati». Chi risponde al telefonino racconta un'altra storia: «Vero, non ce l'aspettavamo e adesso non c'è una classe dirigente pronta a governare. La pensa così anche Davide».

Ci siamo, è qui che le anime si dividono: da una parte Davide Casaleggio invita alla prudenza, dall'altra Grillo vorrebbe fare la stessa cosa, ma sa che deve spingere sull'acceleratore. Niente di insanabile, né una guerra di posizione né una frattura tra il co-fondatore e il figlio dell'altro co-fondatore. Ma sono almeno due le visioni sulla gestione del momento, due visioni differenti iniziate con le vittorie di Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Milano. E proseguite con la caduta anticipata del primo governo Renzi. «Guardate Davide sul palco di Torino, il giorno della chiusura della campagna per il No. La Raggi si dimenava, ma lui mica ballava durante lo show di Beppe. Davide stava già pensando a cosa bisognava fare in caso di vittoria. E a cosa, invece, non si riuscirà a fare». Paradosso: ai 5 Stelle va attribuito più che ad altri il successo del risultato referendario. Ma nessuno come il Movimento sembra impreparato a gestire nell'immediato il dopo Renzi. «Manca ancora una cultura di governo, ma di volontà e voglia di impegno ne abbiamo tantissima», spiegano. Non ci sono solo le difficoltà della giunta Raggi che lo dimostrano. C'è anche il caso Milano. È da qui che, con il via libera del giovane Casaleggio, era partita l'idea: lavorare a un salto di qualità nella classe dirigente grillina. In altre parole: meno casalinghe e disoccupati, più medici o notai. L'idea piace ai «milanesi», che in Comune hanno tre consiglieri e come candidato sindaco avevano presentato Gian Luca Corrado, avvocato. Il fatto è che i «milanesi» non piacciono a Grillo. Meglio, non lo entusiasmano, non vincono come a Roma o Torino. Non mobilitano le folle e perdono pure il referendum di domenica, perché a Milano vince il sì, pur di misura. Una rarità nelle grandi città italiane. «Abbiamo delle difficoltà perché qui le lobby stanno tutte con il Pd», abbozza Corrado. E perché il «disagio» sembra minore, dopo i quattrini dell'Expo e gli altri promessi da Renzi al sindaco Sala. Qui sta il punto: il Movimento è straordinario nell'intercettare il disagio degli italiani. Più difficile proporre delle soluzioni per governare.

Sul programma di governo Grillo ha già presentato una bozza, domenica notte, su Facebook. Tra l'altro: abbassare il consumo medio di energia, «con l'efficienza e le tecnologie». Nomi no, non se ne fanno, non funziona così nel Movimento: «Dalla prossima settimana inizieremo a votare online il programma di governo e in seguito la squadra». Al grido no Tav, no alle lobby, no ai potentati.

E pazienza se Chiara Appendino, sindaco modello, ha già incontrato a Torino il primo editore italiano Carlo De Benedetti e poi anche Gabriele Galateri presidente del colosso Assicurazioni Generali. Chiara-premier se la giocherà, come Di Battista e Di Maio. Si deciderà con un click. Il conto alla rovescia è già iniziato.

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