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Italicum, l'apertura del premier: "Il problema non è Silvio, ma..."

Renzi a Porta a porta: "Voglio fare le riforme, meglio se con Forza Italia. Questo è l'incontro decisivo". Poi la stilettata: "Berlusconi è d'accordo, l'ostacolo sono i suoi"

Italicum, l'apertura del premier: "Il problema non è Silvio, ma..."

Le riforme vanno fatte, anche se «Forza Italia non ci sta». Ma Matteo Renzi si dice convinto che il Cavaliere «non abbia cambiato idea», e che «il problema non è lui, ma se mai alcuni dei suoi».

Il barcollante patto del Nazareno sembra rimettersi in moto, «io ho fatto l'ultimo strappo in salita», dice il premier annunciando per oggi «l'ultimo incontro con Berlusconi», quello definitivo. Sui «dettagli» (soglie di sbarramento eccetera) ci si metterà d'accordo, anche rialzandole: «Chi vince deve governare, senza partitini tra i piedi».

Fino all'ultimo, c'è stata incertezza su come sarebbe finito il braccio di ferro dentro Fi. Tanto che ieri il premier ha deciso di rinviare alle 21 la registrazione di Porta a Porta , per aspettare i segnali da via del Plebiscito. Un'attesa durante la quale gli uomini del premier non sono certo rimasti con le mani in mano, anzi: quando Renato Brunetta ha sparato in mattinata («Il patto del Nazareno non c'è più»), il presidente del Consiglio ha fatto scendere in campo il suo braccio destro Luca Lotti: «Se le parole di Brunetta sul patto del Nazareno interpretano il pensiero di Berlusconi e di Fi, allora non c'è neanche bisogno di incontrarsi domani». Nel frattempo si mandavano altri segnali per far capire ai berluscones che la disponibilità a trattare e a venirsi incontro c'è eccome, nonostante le modifiche sottoscritte all'affollatissimo tavolo (raccontano alcuni partecipanti che molti sono rimasti in piedi per carenza di seggiole) del vertice serale di maggioranza: «Ho sofferto parecchio, sì», ha confidato il premier a chi lo punzecchiava sul rito cui si era volontariamente sottoposto. Un gruppo di renziani doc, capitanati dai «presentatori» della Leopolda Edoardo Fanucci e Luigi Famiglietti, hanno espresso critiche piuttosto dure all'impianto uscito dal vertice, e proprio sui due punti che stanno più a cuore a Berlusconi: «L'ipotizzato abbassamento della soglia di sbarramento al di sotto del 5% determinerebbe una eccessiva frammentazione, con possibili conseguenze sulla governabilità». Quanto al numero dei collegi, «non deve essere ridotto perché altrimenti rischieremmo di proporre nuovamente un Parlamento di eletti slegati dal territorio. È più saggio restare sul disegno originale». Ossia sui 120 collegi (Renzi dice che potrebbero scendere a 100, non oltre) con capolista bloccato, proprio il punto su cui la minoranza Pd è pronta a fare la guerra. «Vedrete, se il Cavaliere riapre sull'Italicum, il casino si risposterà in casa nostra sulle preferenze», prevedeva nel pomeriggio il presidente del Pd Matteo Orfini. La minoranza agita la questione (minacciando persino una «consultazione dei circoli Pd contro le liste bloccate») per frenare l'Italicum e per costringere il segretario a trattare sulle candidature: il pericolo di non essere messi in lista lo hanno annusato in molti. Il premier ironizza: «Gli stessi che volevano le liste bloccate ora chiedono le preferenze». Stasera in Direzione Renzi, reduce dall'incontro con Berlusconi, si aspetta che la battaglia interna abbia inizio. Ma sarà molto netto, e chiederà un voto che impegni il Pd: «Io devo sapere che il mio partito mi mette in grado di rispettare gli accordi che prendo fuori di qui». Altrimenti? Se il cammino delle riforme (dall'Italicum al Jobs Act) continuerà ad essere una via crucis in Parlamento, grazie anche alla fronda Pd, lo scenario elettorale potrebbe riaprirsi. E lo stesso Napolitano, assicurano i ben informati, non si metterebbe di traverso. Renzi avverte: «Magari Napolitano ci stupirà e andrà avanti molto più di quel che si pensa». Il presidente, spiega un “napolitaniano” del Pd « è disposto anche a restare fino a primavera per fare la legge elettorale, e se le Camere vanno sciolte sarà lui a farlo, e non il suo successore». Il che vuol dire anche che ad eleggere il suo successore potrebbe essere un nuovo Parlamento, con equilibri assai diversi dagli attuali.

Non è lo scenario cui pensa Renzi, nonostante gli ostacoli che si ritrova in casa su ogni scelta parlamentare («Dalla commissione Bilancio alla Lavoro noi non riusciamo a toccare palla, grazie al Pd», dicono esasperati i renziani), ma non è escluso che lo diventi.

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