«Siamo pronti a qualsiasi confronto pubblico e democratico che sia rispettoso delle regole». Tra una battuta ironica sul neo-garantismo pro-Raggi dei M5S e dei loro reggicoda a mezzo stampa del Fatto Quotidiano, e un'aspra reprimenda ai maggiorenti Pd capaci solo di azzuffarsi, Matteo Renzi si prepara allo show down del 13 febbraio. E apre la porta ad un congresso, in tempi brevi, per far chiarezza nel Pd. Il che significa anche che il leader Pd ha capito che le chance di un voto a giugno si fanno sempre più tenui, non solo per le resistenze interne ma anche per le condizioni esterne e i rapporti con la Ue.
Lunedì 13 è convocata la Direzione, che Renzi annuncia di aver allargato anche ai parlamentari e ai segretari provinciali del partito: una sorta di assemblea dello stato maggiore democrat, cui Renzi chiederà il voto sulla sua linea. «Chi vota Pd non merita questa polemica continua, le minacce di scissione, la lotta costante di chi ogni giorno spara ad alzo zero», dice.
Ma quale sarà la linea scelta da Renzi? Il segretario da giorni ha lasciato la briglia sul collo ai suoi e assistito al bailamme interno sul congresso (chiesto ora dalla stessa minoranza che solo 20 giorni fa, ricorda Renzi, non lo voleva neanche sentir nominare), le primarie, la scissione, le dimissioni del segretario, il premio alla coalizione (benedetto da Franceschini e Delrio, vituperato da Orfini), le elezioni a giugno, a febbraio o mai più. Tutti contro tutti e quasi tutti contro di lui.
Nel dibattito confuso degli ultimi giorni, l'idea di modificare l'Italicum spostando il premio sulla coalizione è stata accolta da una parte del Pd come la pietra filosofale in grado di risolvere ogni problema. Renzi sul tema non si è sbilanciato, in attesa di vedere le reazioni. Ma all'ex premier la proposta non piace per nulla: l'idea di tornare ai pasticciati caravanserragli ulivisti di Prodi, in cui l'ultimo dei partitini è in grado di bloccare qualsiasi iniziativa, gli sembra un ritorno al peggiore passato. La pensa insomma come Matteo Orfini, che ieri sul tema è stato assai duro: «Il ritorno alle coalizioni è il terreno ideale per coloro che coltivano ipotesi di scissione. Tornare a quell'impianto significa negare alla radice le ragioni per cui è nato il Pd: un errore esiziale», dice il presidente Pd.
Si era ipotizzato uno scambio: premio alla coalizione, che piace a Forza Italia, in cambio del via libera di Berlusconi a elezioni a giugno. Ma se il voto si allontana, Renzi non ha alcuna intenzione di farsi impaniare nella deriva verso il premio di coalizione, che regalerebbe alla sinistra Pd l'occasione per farsi un partitino in proprio e poi trattare l'alleanza. Meglio, come dice Orfini, «un premio di governabilità da attribuire al primo partito: il Pd potrebbe così misurarsi sul suo progetto in campagna elettorale».
Nella enews di ieri, Renzi lascia anche cadere un accenno - del tutto non casuale - alla «sfida lanciata in Francia dal nostro amico Macron», l'ex ministro di Hollande lanciato verso l'Eliseo, che rappresenta una nuova Terza Via tra la destra neo-fascista e populista di Le Pen e la
vecchia sinistra di Hamon: liberale, europeista, «rottamatore», che ha ripreso diverse idee renziane (bonus inclusi).Un Renzi d'Oltralpe, è stato ribattezzato. E forse Renzi accarezza l'idea di rilanciarsi come Macron d'Italia.
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