Juncker in bilico, aleggia il falco Katainen

Il rigorista che sognava Atene in ginocchio ora potrebbe guidare l'Ue

Juncker in bilico, aleggia il falco Katainen

Un'uscita anticipata, con tanto di porta sbattuta. Jean-Claude Juncker si preparerebbe a dar l'addio in malo modo alla presidenza della Commissione europea, per far posto al finlandese Jyrki Katainen. Uno, tanto per intenderci, così falco da rendere quasi una tenera colomba il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. Rivelato da Repubblica nell'edizione di ieri, lo strappo è stato subito smentito dalla portavoce della Commissione («Non si dimetterà»), ma la sensazione è che comunque qualcosa stia scricchiolando ai piani alti di Bruxelles. Le spinte populistiche e nazionalistiche, che potrebbero toccare l'acme in occasione delle elezioni francesi, stanno allargando il solco tra coloro che le vorrebbero depotenziare con una politica di rilancio dell'architettura europea meno basata sulle rigidità dei vincoli di bilancio, e quanti sono ancora convinti che per reggere la casa comune abbia bisogno di regole stringenti.

Non bisognerà attendere molto per capire quale tra le due anime europee stia avendo il sopravvento. Il prossimo 8 marzo dovrebbe infatti essere pubblicato il «Libro bianco», curato dalla stessa Commissione, in cui si gettano le basi sulla direzione da intraprendere dopo la Brexit. Il documento, però, potrebbe non vedere mai la luce se si riveleranno vere le voci secondo cui Olanda e Germania, alle prese quest'anno con una complicata tornata elettorale, hanno fatto pressione su Juncker per evitarne la pubblicazione. Una moral suasion poco gradita dall'ex premier lussemburghese al punto da indurlo a farsi da parte? Le «autorevoli fonti europee» citate da Repubblica sostengono che Juncker sarebbe «contrariato dalla scarsa ambizione dei governi sull'Unione», mentre altri fanno notare che dietro ai rumors potrebbero esserci proprio i detrattori della proposta di rilancio della Commissione. Di sicuro, Juncker non intende puntare a un secondo mandato. «Non lo faccio perché sono stanco: sono fresco e vitale, ma cinque anni sono sufficienti», ha spiegato di recente. L'incarico scade nel 2019: altri due anni in cui potrebbe succedere di tutto.

Ma un'altra cosa è certa: affidare la poltrona presidenziale a Katainen avrebbe lo stesso effetto di un ceffone per quanti vorrebbero un'Europa più solidale e meno irreggimentata dai parametri di Maastricht. L'algido e giovane finlandese lavora fianco a fianco con Juncker in quel progetto finora monco che è l'Efsi, il nuovo fondo per gli investimenti partito con l'ambizione di raccogliere oltre 300 miliardi di risorse fresche e invece rimasto al palo. Così, ci si ricorda di lui soprattutto per lo slancio rigorista perfino superiore a quello della Germania. Forse perché convinto che abbia funzionato la ricetta amarissima dell'austerity imposta dal Fondo monetario internazionale ad Helsinki durante la grave crisi degli anni '90, l'ha applicata al Paese una volta diventato premier. Salvo poi dimettersi, travolto dall'impopolarità e della recessione. Senza però mai cambiare idea. «Non basta comprare una medicina, bisogna ingerirla perché aiuti», è stata qualche tempo fa il suo suggerimento a un'Italia ritenuta non abbastanza virtuosa.

Con la Grecia in ginocchio fu ancora più duro, proponendo l'improponibile: in cambio degli aiuti finanziari, una bella ipoteca su alcune isole dell'Egeo, l'Acropoli e il Partenone. Millenni di storia trattati come un bilocale con mutuo.

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