Piegarsi alle pressioni di Vladimir Putin e «sospendere» (questo il termine utilizzato) le ambizioni dell'Ucraina di entrare un giorno a far parte della Nato. Le parole allusive pronunciate ieri all'interno di un più complesso ragionamento dall'ambasciatore ucraino a Londra hanno fatto brevemente pensare che potesse essere questo l'elemento di compromesso di cui si è alla ricerca in grado di alleggerire le gravissime tensioni tra Mosca e Kiev (ovvero tra Mosca e gli occidentali). Ma nel giro di poche ore Vadim Prystaiko è stato smentito dallo stesso presidente Zelensky, che ha ribadito come la prospettiva per quanto ipotetica di un'adesione all'Alleanza Atlantica rimanga fondamentale per l'Ucraina.
Prystaiko aveva fatto le sue dichiarazioni in mattinata al canale Radio 5 Live della Bbc. Queste le sue precise parole: «Potremmo lasciar cadere la nostra candidatura all'ingresso nella Nato per prevenire una possibile invasione russa. Potremmo, specialmente sottoposti come siamo a certe minacce, a certi ricatti, e pressati come siamo in ogni modo in quella direzione». L'ambasciatore si riferiva chiaramente all'insistenza con cui Putin va ripetendo da settimane, con un'armata di oltre centomila uomini accampata ai confini ucraini a fare pressione non solo psicologica, che un'adesione di Kiev alla Nato porrebbe alla Russia un rischio per la sua sicurezza nazionale. È evidente che un passo indietro dell'Ucraina su questo tema sarebbe accolto come un grosso successo a Mosca, e anche fonti governative di Berlino (il cancelliere tedesco Olaf Scholz era proprio ieri in visita ufficiale a Kiev) avevano fatto cenno a questa ipotesi di compromesso. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peshkov aveva subito incoraggiato a seguire questa via, ma in serata Kiev ha tagliato corto sull'argomento: le parole di Prystaiko erano state riportate «fuori contesto» e la prospettiva di un'adesione alla Nato è addirittura iscritta in Costituzione fin dai tempi di Petro Poroshenko, il predecessore di Volodymyr Zelensky.
È opportuno ricordare che sulla questione dell'Ucraina nella Nato si giocano molti equivoci e partite ambigue. La domanda di ammissione di Kiev risale al lontano 2008, e non ha mai superato uno stadio di benevola considerazione iniziale. Attualmente non è assolutamente un tema di attualità (lo stesso Scholz ieri l'ha ricordato), e Putin lo sa benissimo anche se gli fa gioco fingere il contrario. In sostanza, agli Stati Uniti fa comodo tenere la porta aperta all'Ucraina, così come alla Georgia che ha fatto da tempo analoga richiesta: è un modo per fare pressione su Mosca, giocando sul fatto obiettivo che da ormai trent'anni l'Ucraina è uno Stato indipendente e come tale ha pieno diritto di scegliere la propria collocazione internazionale senza subire pressioni indebite, malamente mascherate da «fraterna amicizia». Allo stesso tempo, né gli americani né gli altri quasi trenta Paesi membri della Nato hanno reale desiderio di aprire quella famosa porta a un Paese certamente amico, ma anche potenziale fonte di guai infiniti con la Russia: e siccome è sufficiente che un solo Paese Nato si opponga all'adesione di un nuovo membro, le chance di Kiev sono pressoché nulle.
Quanto a Putin, il suo vero obiettivo va ben oltre il tener fuori l'Ucraina dalla Nato. Egli nega il suo stesso diritto a esistere come entità autonoma e ha chiaramente esplicitato l'ambizione di riuscirci con il suo noto articolo «Sull'unità dei popoli russo e ucraino».
Putin mira a ricostituire un impero russo, ma commette lo stesso errore del passato sovietico: vuole usare la forza e ignorare la volontà dei popoli. È questa sua forma mentale da ventesimo secolo a far temere che, contro ogni logica apparente, un'aggressione all'Ucraina sia possibile, come del resto è già accaduto nel 2014.
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