L'addio alle armi di Gentiloni Il premier che doveva sparire

Si dimette l'uomo scelto da Renzi per un mandato «a scadenza». Ma alla fine lo superava nei sondaggi

L'addio alle armi di Gentiloni Il premier che doveva sparire

Roma L'uomo giusto, nel momento giusto, iscritto al partito sbagliato. Paolo Gentiloni ha rassegnato le dimissioni, consegnate ieri sera nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Poi si è recato, come prassi, al Senato e alla Camera per informare i presidenti neoeletti.

Un mandato da 468 giorni, al netto dell'ultima coda che resta di durata incerta, visto che il governo uscente rimarrà in carica per il disbrigo degli affari correnti fino alla formazione del nuovo esecutivo.

Romano di origini nobili ed esordi politici nell'estrema sinistra, messi in ombra dalla fama di uomo mite e mediatore. Proprio per l'indole e la storia familiare, molti politici e giornalisti all'inizio del suo governo lo incasellavano tra gli ex democristiani. Sbagliato. Il Gentiloni papalino in politica era l'avo Ottorino, leader della Unione elettorale cattolica, che all'inizio del Novecento sancì il ritorno dei credenti al voto. Paolo, invece, giovanissimo scelse il Movimento studentesco di Mario Capanna e poi i maoisti italiani. Era militante del Movimento Lavoratori per il Socialismo che si rifaceva al Grande Timoniere. Poi aderì al Pdup di Lucio Magri, prima di approdare a Legambiente e quindi alla Margherita di Francesco Rutelli.

Quando nel dicembre del 2016 diventà premier, dopo la sconfitta referendaria, l'impressione prevalente era che fosse stato scelto con il compito di traghettare il Paese dalla prima fase di Renzi alla seconda. Questo era perlomeno la speranza del segretario del suo partito. Le cose sono andate diversamente. Sicuramente per Matteo Renzi, ma anche per Gentiloni. L'ex direttore di Nuova ecologia, il cui mandato era di restare sotto traccia e non fare ombra al capo si è ritrovato in breve tempo in testa a tutti i sondaggi sui leader politici. A pochi mesi dall'insediamento a Palazzo Chigi si aggirava già intorno al 40%, contro il 32 di Renzi. Al termine veleggiava sul 44%.

Unico premier europeo ad aumentare i consensi durante il mandato. Emmanuella Macron, per fare l'esempio di un leader che molti in Italia vorrebbero copiare, durante il suo mandato ha perso circa 12 punti percentuali in popolarità.

Il successo di Gentiloni sta appunto nell'avere avuto un leader sbagliato, nel senso di molto diverso da lui. Gli italiani hanno apprezzato il cambiamento di stile rispetto al Rottamatore. Esito imprevedibile per Renzi, ma anche per il leader del M5S Luigi Di Maio che lo definì «un avatar». Cioè solo immagine.

Il suo governo in realtà ha avuto qualche numero in più rispetto al precedente. Sul fronte europeo è riuscito parzialmente a ricucire gli strappi provocati da Renzi e ha ottenuto con meno difficoltà la flessibiltà nei conti, indispensabile negli ultimi per chiudere il bilancio dello Stato. Ma ha clamorosamente perso la partita per l'Ema, l'Autorità per il farmaco, a Milano.

Ha capito meglio del suo leader il clima che si è creato nel Paese sull'immigrazione e ha dato via alla linea Minniti. Si è passati dalle porte aperte di Mare nostrum a quelle socchiuse degli ultimi mesi e, soprattutto, allo stop alle Ong di tutto il mondo che traghettavano nel Belpaese migranti.

Ha fatto passare il Biotestamento, creando malumori anche tra i cattolici del Pd. Poi ha preso cantonate, come l'abolizione dei voucher lavoro. Decisa per evitare il referendum contro i buoni che servivano a pagare il lavoro saltuario. Al posto dei voucher degli strumenti che non vengono utilizzati e incentivano il lavoro nero.

Il tutto, seguendo i diktat della Cgil. La sua legge di Bilancio, in realtà del ministro dell'Economia Padoan, è in gran parte in deficit e spende quasi solo per il lavoro pubblico. Una strategia sperimentata da Renzi. Che ha perso, anche tra gli statali.

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