Ha dato il suo segnale l'Emilia Romagna, cuore del più ricco Nord rimasto ancorato alla sinistra sin dal 1970, quando le regioni sono nate. Tre milioni e cinquecentomila elettori divisi, ma le prime proiezioni dicono che Stefano Bonaccini è in netto vantaggio e il centrosinistra ha contenuto il tentativo del leader della Lega, Matteo Salvini, di conquistare la regione con la sua candidata, la bolognese Lucia Borgonzoni.
Nel Mezzogiorno si è espressa con chiarezza molto netta per il centrodestra la Calabria, poco meno di due milioni di votanti abituati a scegliere sullo sfondo di una tradizione disillusione per la politica: ieri l'affluenza è aumentata, sia pure in misura contenuta. Le prime proiezioni danno all'azzurra Jole Santelli, berlusconiana della prima ora, un vantaggio nettissimo. Il Cavaliere ha puntato molto da subito su di lei, sia scegliendola che mobilitando se stesso e molti big di Forza Italia e del centrodestra allargato per andare in Calabria a sostenerla.
Il centrodestra si trova così a governare una regione in più, proprio la Calabria, arrivando così a quota tredici sul totale delle venti regioni italiane. Al centrosinistra tocca però la soddisfazione di aver evitato la perdita dell'Emilia Romagna, che sarebbe stato un vero e proprio tracollo destinato a impattare duramente sulla coalizione e sul governo.
L'affluenza da record in Emilia Romagna, praticamente raddoppiata rispetto alle regionali del 2014, ha dato subito il segno di come la battaglia sia stata percepita come decisiva e abbia mobilitato larghe fette di elettorato che alle elezioni del 2014 non avevano contribuito a scegliere il dem Stefano Bonaccini come presidente dell'Emilia Romagna. Questa volta, secondo le prime proiezioni, il voto di preferenza per il candidato che ha puntato tutto sull'alta qualità della vita della regione, avrebbe addirittura superato il voto di lista per lo schieramento di centrosinistra unito nel sostenerlo.
In Calabria, invece, è una vittoria senza dubbi del centrodestra e della candidata Jole Santelli, espressione del territorio di Forza Italia, sostenuta dalle liste Fdi e Lega, oltre a sigle altrove scomparse come l'Udc e la Casa della libertà.
Se in Emilia Romagna si parla già dell'effetto Sardine che ha intercettato gli astensionisti e indebolito anche i Cinque stelle, le prime analisi dell'affluenza paiono dire anche che a Ravenna e Bologna, storiche roccaforti della sinistra, si è registrato un aumento dei votanti più rilevante che a Ferrara, simbolo dell'avanzata della Lega, dove il sindaco è espressione del partito di Salvini. Nel complesso ci sarebbe un leggero aumento della partecipazione nelle aree che alle Europee 2019 erano rimaste legate alla sinistra e al contrario una leggera diminuzione dove era stata la Lega ad avere la meglio.
Nel centrosinistra si è messo in gioco Nicola Zingaretti, segretario del Pd, che ha più volte affiancato Bonaccini in campagna elettorale. Più sotto traccia il lavorìo dello storico leader dell'Ulivo, il bolognese Romano Prodi. Infine l'ex segretario del Pd passato in Liberi e Uguali, Pierluigi Bersani, che ha chiuso la campagna elettorale nella «rossa» Ravenna: originario del Piacentino, provincia in cui il centrodestra ha sempre avuto una buona penetrazione e dove alle Europee del 2019 la Lega aveva superato il Pd.
Una specie di fronte popolare allargato al cosiddetto cattolicesimo democratico: anche l'arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, con i vescovi dell'Emilia Romagna due settimane prima del voto hanno preso apertamente posizione contro il sovranismo, schierandosi così se non a favore di Bonaccini, certamente contro la politica dai toni alti che ha caratterizzato la campagna elettorale di Salvini: il segretario della Lega ha fatto
ricorso a temi nazionali divisivi, quali immigrazione, sicurezza, Bibbiano.La Calabria, dove la campagna è stata molto più giocata su temi locali sia pur con l'intervento di big nazionali, l'esito è stato diverso e più netto.
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