Guerra in Ucraina

L'alibi Fifa per continuare a giocare

Niente inno né bandiera russi. Ira della Polonia: "Così è inaccettabile"

L'alibi Fifa per continuare a giocare

Il gioco delle tre carte è l'ultima idea del governo calcistico mondiale. La Fifa di Gianni Infantino furbescamente decide di non decidere, la Russia giocherà i play off mondiali ma non a Mosca e in nessun altra città della nazione di Putin, avrà un nome fittizio, «Rfu» acronimo di Football Union of Russia, non potrà avere una bandiera e non verrà eseguito alcun inno nazionale, seguendo la decisione adottata dal Cio agli ultimi Giochi di Pechino.

Il senso della vergogna viene seppellito da quello dell'opportunismo, l'alibi è demagogico per non dire ipocrita, «lo sport deve continuare a essere un vettore di pace e speranza ma resta in stand by se la situazione non dovesse migliorare, provvedendo a eventuali misure aggiuntive, comprese anche una potenziale esclusione dalle competizioni». Parole da parroco e non da massima istituzione del football, pensieri smentiti dalla scelta di giocare i prossimi mondiali in Qatar non proprio un esempio di pace e di speranza per la tutela dei diritti civili ma un luogo ideale per prendere dimora e domicilio di Infantino.

Dunque in modo gattopardesco, il presidente annuncia una svolta ma purché tutto resti identico a prima, insomma la Russia, mascherata in modo codardo, si presenterà su un campo neutro, magari ucraino perché no?, e la Polonia (che ha ribadito di non voler comunque scendere in campo, bollando la decisione come «totalmente inaccettabile») dovrà accettare la sfida altrimenti scatterà il regolamento che prevede la sconfitta a tavolino. Lo stesso vale per la Svezia e la Repubblica Ceca che hanno annunciato di aderire al gran rifiuto polacco. A una situazione tragica, la guerra dunque, si risponde con una soluzione miserabile, un classico della politica del compromesso che è la carta di identità del sistema calcio, Fifa e Uefa.

Il portiere della Juventus, Wojciek Szczesny, polacco con moglie ucraina, aveva sfidato il governo calcistico di Zurigo: «Vediamo se la Fifa ha le palle». La provocazione del giocatore è rimasta tale, gli attributi di don Abbondio erano già conosciuti ma si segnalano parenti e affini nell'ufficio di presidenza della federazione internazionale che aveva due soluzioni da scegliere: confermare la partita, respingendo la richiesta della Polonia e dunque applicare la sconfitta alla stessa nazionale di Varsavia o squalificare la Russia e spingere di diritto la Polonia al turno successivo contro la vincente di Svezia-Repubblica Ceca. Sarebbe stato, questo, il trionfo della dignità e del senso politico. Invece ha vinto l'egoismo degli interessi contabili.

Ha ragione Szczesny, una questione di palle.

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