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L'allarme sull'Iva al 25% "Se aumenta l'imposta sarà boom di evasione"

Lo studio della Cgia: "Già oggi il nero costa allo Stato 113 miliardi di euro ogni anno"

L'allarme sull'Iva al 25% "Se aumenta l'imposta sarà boom di evasione"

Roma. La Cgia di Mestre lancia l'allarme Iva: se l'incremento delle aliquote (dal 10 al 13% e dal 22 al 25,2%) previsto dalle clausole di salvaguardia della legge di Bilancio non verrà disinnescato, oltre ai pesanti effetti recessivi sull'economia, l'Italia rischia anche un forte aumento dell'evasione. Il possibile aumento di 3 punti percentuali dell'aliquota ridotta e di 3,2 di quella ordinaria interesserebbe anche i servizi di manutenzione e di riparazione, gli onorari dei liberi professionisti e le ristrutturazioni edilizie per le quali non ci sia interesse del contribuente a usufruire delle detrazioni. L'aumento d'imposta, di fatto, «spingerebbe» molti clienti finali a non pagarla affatto, evitando di richiedere al prestatore del servizio la fattura o la ricevuta fiscale. L'infedeltà fiscale, ricorda l'Ufficio studi degli artigiani mestrini, sottrae alle casse dello Stato 113 miliardi di euro all'anno.

Di qui l'appello a fare chiarezza sulle coperture della manovra 2020 che, al momento, appaiono improbabili ed estemporanee. «Proprio perché siamo in piena campagna elettorale afferma il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo - Di Maio e Salvini non possono limitarsi ad affermare che l'Iva non aumenterà: devono dirci anche dove troveranno le risorse». In caso contrario, aggiunge, «i loro impegni non appaiono credibili, avvalorando così la tesi di coloro che prevedono una stangata fiscale a partire dall'inizio del 2020». D'altronde, la strada è molto stretta. Si possono bloccare le clausole di salvaguardia in due soli modi: aumentando le entrate intervenendo sugli sconti fiscali (e quindi aumentando le tasse) oppure diminuendo le spese, a partire dalle due misure bandiera come reddito di cittadinanza e quota 100.

Il prezzo politico da pagare, in ogni caso, sarebbe elevato. La Cgia segnala che un aumento di un punto dell'aliquota ridotta del 10% costerebbe agli italiani quasi 3 miliardi (2.896 milioni di euro) e quella ordinaria circa 4,3 (4.370 milioni di euro). Pertanto, non è da escludere che dei 23,1 miliardi di potenziale aumento (di cui 22.672 milioni di Iva ai quali si aggiungerebbero ulteriori 400 milioni di incremento delle accise sui carburanti), l'esecutivo sia in grado di sterilizzarne solo una parte. Anche l'aumento selettivo, talvolta ipotizzato dal ministro Tria, è un'ipotesi sgradita agli artigiani veneti. «Di fronte a una crescita economica ancora molto incerta, l'eventuale incremento dell'Iva condizionerebbe negativamente i consumi interni e, conseguentemente, tutta l'economia, penalizzando in particolar modo le famiglie meno abbienti», ha commentato il segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason ricordando che l'Italia è tra i principali Paesi dell'area euro con l'aliquota ordinaria Iva più elevata (22% contro il 21% della Spagna, il 20% della Francia e il 19% della Germania).

In termini assoluti sarebbero i percettori di redditi più elevati a pagare il conto dell'aumento delle aliquote in quanto dotati di una più elevata capacità di spesa. In termini ponderati sul reddito netto di un capofamiglia, osserva Zabeo, «l'aggravio più pesante interesserebbe i percettori di redditi bassi e, a parità di reddito, le famiglie più numerose». L'aumento dell'Iva avrebbe effetti deleteri su tutta l'economia: circa il 60% del Pil, infatti, è riconducibile ai consumi delle famiglie e, quindi, un aumento dei prezzi dei beni e dei servizi penalizzerebbe le famiglie e i lavoratori autonomi (artigiani, piccoli negozianti e partite Iva) che vivono quasi esclusivamente di domanda interna.

«I consumi delle famiglie italiane sono ancora inferiori di circa 2,4 punti percentuali rispetto al 2007, anno pre-crisi; nell'Eurozona solo noi e la Grecia abbiamo questo record negativo, che ovviamente nessuno ci invidia», ha concluso Mason.

GDeF

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